LO SQUILIBRIO TERRITORIALE DEL PAESE, IL NORD DA UNA PARTE, IL SUD DALL’ALTRA, STA DISTRUGGENDO IL FUTURO DELL’ITALIA INTERA
di Marcello Panzarella*

 

Squilibrio e Iniquità

Corrotti, inefficienti, “predatori” o “estrattori di reddito” – politici, burocrati, e imprenditori senza scrupoli – sono le male piante attecchite sullo squilibrio territoriale italiano, generato dall’iniquità più che secolare della redistribuzione del gettito fiscale in termini di servizi resi, infrastrutture, livelli essenziali di prestazioni, in concorso perverso con politiche di mortificazione delle colture e delle produzioni del Sud, e di procurata disoccupazione e dunque di emigrazione meridionale continuativamente diretta verso il Nord.

Nella progressione discendente della catena, nell’effigie del declino italiano inarrestabile, figurano i portaborse, i faccendieri e, in fondo in fondo, prezzolati o no, anche gli sfuggenti figuri venuti alla ribalta in questi giorni, i cosiddetti piromani. Sta di fatto che l’Italia è oggi il Paese di gran lunga più diseguale, più squilibrato e iniquo del mondo.

Il dislivello è ormai tale, e tanto più potrà aggravarsi per la sbilanciata applicazione incipiente del PNRR, che un atto di pretesa di equità territoriale non è più rinviabile, in quanto reclamo e forte petizione di quella forma della giustizia che garantisce eguale trattamento ed eguali opportunità alle popolazioni insediate in quale che sia porzione del Paese.

E bisognerà produrre quest’atto con forza e determinazione, partendo, soprattutto al Sud, dalla costruzione di reti tra più soggetti, sulla base di una piattaforma di consapevolezze
articolate attorno alla complessità e alla interrelazione dei fattori del rischio (climatico-ambientale, idrogeologico, sismico, del fuoco) e del degrado connesso, economico, sociale, umano, il tutto nel quadro e con l’obiettivo del raggiungimento di un nuovo, giusto equilibrio dell’intero sistema-Paese. Un’impresa titanica, ma obbligata.

Gli architetti e le loro illusioni ambigue, inutili, ridicole

Quando penso ad alcune “archistelle” del “verde”, e a tutti coloro che le hanno osannate all’insegna della sostenibilità come verbo e della tecnologia come taumaturgia, mi rendo conto che una gran massa di noi progettisti ha perduto il senso del “tutto che si tiene col tutto”, e che anche la sostenibilità e la resilienza così sbandierate sono state in realtà operazioni – a volte furbesche, a volte comode o corrive – di sezionamento e semplificazione del reale. Soprattutto operazioni di separazione, imposte o accettate senza obiezione – l’antico “divide et impera” – ma anche illusioni ambigue, inutili, ridicole.

Una casa che generi l’energia che la sostiene, un quartiere o una città governati dall’intelligenza artificiale, e quant’altro potremmo aggiungere in termini di avanzamento delle tecnologie al servizio dell’abitare, potranno mai garantire il controllo e l’equilibrio del territorio, procurare la piena occupazione, distribuire il reddito secondo criteri di giustizia sociale ed equità territoriale?

Intendo dire, potranno mai farlo, per quanto stia al loro ambito di pertinenza, senza un forte governo politico dei loro processi? Architetti, urbanisti, pianificatori, hanno in gran parte rinnegato, cancellato, lasciato impallidire, ormai da tempo, il concetto della preminenza della politica, e hanno consentito che si offuscasse l’idea che la città (il territorio) è il luogo in cui tutto si tiene attraverso le virtù di una politica che sappia programmare e governare e di una tecnica che sappia prestare le proprie capacità in modo critico, allo scopo del bene comune.

Hanno invece smesso ogni abito che li obbligasse all’esercizio di questa responsabilità, di questa guardiania gelosa, e hanno reso ipertrofico l’aspetto prestazionale, mascherandolo di “verde” come manifestazione di falsa coscienza. Un ballo in maschera, si direbbe, se non una serie di esibizioni da patetici giullari.

Squilibrio territoriale nord sud
“Bosco verticale”, arch. Stefano Boeri, Milano, 2009-2014.

nord sud


Nessun ecologismo è possibile, senza un sano principio di realtà

Dopo l’ubriacatura tecnologica, e adesso ecologica – fervidamente introversa, non relazionale, per lo più interprete delle attività umane come un danno e non come parti insopprimibili del sistema – serve finalmente tornare alla politica, e a una diffusa coscienza e tensione politica nell’esercizio della porzione del quotidiano che a ognuno compete, e guardare, fotografare, interpretare la geografia e la storia, e dunque la totalità della realtà presente, attraverso l’obiettivo più ampio possibile, che è il grandangolo. Lo stesso che serve al campo esteso del progetto. 

squilibrio territoriale
Mappa dei boschi arsi in Italia in data 13-08-2021. Dati degli incendi boschivi rilevati in tempo reale. Fonte: NASA


Cittadini


Smettiamo perciò di concentrarci sugli slogan e torniamo al territorio come luogo del rapporto complesso, spesso conflittuale, “down-up e up-down”, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, dove alto e basso non sono però luoghi fissi, ma mobili, variamente determinabili attraverso le stratificazioni sociali, le giaciture territoriali, le dislocazioni geografiche. Soprattutto non parliamo più di resilienza come se fosse un miracolo, nato da un impegno dal basso generico, intenso, volontaristico. La lotta è piuttosto questa: tra interessi, tra dominanze, tra egemonie.

Essa richiede forti capacità strategiche, comprese quelle della mediazione e, se occorre, del colpo basso. Se non lo si capisce, non c’è soluzione. L’alternativa è il caos e, a seguire, la dissoluzione verso nuovi equilibri sempre più vicini alla stasi dell’entropia, alla quiete immobile della stagnazione infinita. 

 

*Docente di Composizione architettonica ed urbana (in quiescenza) presso l’Università degli Studi di Palermo 

Dello stesso autore, vedi anche: