LE COMMEMORAZIONI DEL 19 LUGLIO SI PORTANO DIETRO LA SOLITA IPOCRISIA DI UNO STATO INCAPACE DI GUARDARSI DENTRO

L’anniversario della strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta, capita, quest’anno, a pochi giorni da una sentenza beffa. Quella sul depistaggio subito dalle indagini sulla strage, con soli tre imputati: uno assolto, gli altri due prescritti. Non entriamo certo nei tecnicismi giurisprudenziali, ma guardiamo ai fatti: 30 anni non sono bastati per raggiungere la verità. Ovvero, tutta la verità.

Di fatto, è ormai accertato il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana, come è stato definito da altri giudici, ma, paradossalmente, non se ne conoscono i colpevoli. La Giustizia, se è sana, ha invece il dovere di andare fino in fondo, rivelando ai propri cittadini chi è perchè, dall’interno delle Istituzioni, ha tramato per eliminare un altissimo servitore dello Stato. O, almeno, di quello Stato che i cittadini vedono come emblema di onestà, dovere e giustizia. A cui ha fatto da contraltare uno Stato maligno, infido ed alleato con mostri umani della peggiore razza.

Comprendiamo l’atteggiamento dei familiari del giudice e, in genere, di chi ha subito questo affronto, dovendosi pure sorbire, ogni anno, le solite manifestazioni di ipocrita solidarietà. Le quali, se non accompagnate dall’accertamento, fino in fondo, della verità, rimangono sterili, vuote e prive di significato. L’unico senso che potrebbero avere è lavare la coscienza di chi poteva e doveva fare di più.

Ma non ci basta.