L’APPROVAZIONE DEI BUS DA 24 METRI E’ DESTINATA A RIVOLUZIONARE IL TRASPORTO PUBBLICO IN ITALIA.
La notizia passerebbe del tutto inosservata se non ci andasse di mezzo il futuro del Trasporto Pubblico in Italia.
Il Consiglio dei ministri il 10 settembre scorso ha approvato un Decreto-legge intitolato: “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali”.
Il testo, molto atteso, autorizza la omologazione e circolazione di nuovi mezzi autosnodati ed autoarticolati da 24 metri, con un incremento notevole della lunghezza rispetto ai precedenti 18 metri. Una delle cause del provvedimento è la possibilità di attuare le modifiche previste al progetto di potenziamento del trasporto pubblico di Genova, la cui rete urbana sarà esercita con bus elettrici da 19 e 24 metri.
E’ deciso dal comma 2 bis che recita: “Gli autosnodati e i filosnodati destinati a sistemi di trasporto rapido di massa possono raggiungere la lunghezza massima di 24 m su itinerari autorizzati in sede riservata dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.” Pertanto, si tratterebbe di biarticolati (bus) e bisnodati (filobus) che potranno su itinerari riservati esplicitamente autorizzati dal MIMS.
Cosa cambia? Tanto, tantissimo.
Come sappiamo, la moderna trazione elettrica ha già rivoluzionato il trasporto pubblico e privato: il parco auto è sono sempre più ibrido, e si avviano a diventare in maggioranza elettrico nel giro di qualche anno. I bus elettrici sono una realtà ormai da diversi anni, mentre tram e filobus sono prepotentemente tornati di “moda” ancora prima.
Il tutto a scapito della vecchia ed inquinante combustione interna, che sta vedendo man mano scomparire il diesel, praticamente bandito dalle più grandi città, e che vedrà sopravvivere a stento l’alimentazione a benzina, sempre più dipendente dall’accoppiamento con motori elettrici.
Ciò è stato reso possibile dalla grande rivoluzione tecnologica delle batterie, sempre più facilmente ricaricabili ma, soprattutto, a capacità sempre maggiore. Tanto da rendere possibile il superamento dei 500 km di autonomia, barriera fisiologica, oltre che psicologica, alla competitività dell’elettrico rispetto ai carburanti fossili.
Con autosnodati ed autoarticolati di queste lunghezza, si potrà presto pensare a linee veloci di superficie di discreta capienza, sempre più simili a linee tranviarie, ma senza rotaie. Quando puoi mettere in strada un convoglio da 24 metri su gomma, la sua capienza diventa simile a quella di un convoglio su ferro da 32, come la maggior parte dei tram in circolazione: da 180 a 200 persone. Anche perché la larghezza di un tram è normalmente inferiore a quella di un bus.
A meno di non pensare a tram di lunghezza superiore, accoppiati fra loro, si prospetta sempre più vicino l’addio alle rotaie per il trasporto pubblico di superficie, e non è un dato da poco. D’altronde, i moderni sistemi tranviari LRT hanno convogli e relative banchine praticamente standardizzati, e non è più usuale, né sostenibile, l’accoppiamento dei convogli; o, peggio, l’aggiunta di carrozze aggiuntive al traino, come si faceva all’occorrenza in tempi ormai lontani, per i tram della prima generazione. Operazioni per le quali le rotaie sono indispensabili. Ma anche no.
Già qualche anno è entrato in esercizio, in Cina, un mezzo pubblico su gomma, di lunghezza anche superiore al tram-tipo, che può persino fare a meno del conducente. Sistemi tranviari privi non soltanto di alimentazione aerea (perché alimentati, ovviamente, a batteria) ma anche di binari. I convogli seguono semplicemente una linea tracciata per terra, mantenendo lo stesso incarrozzamento di un tradizionale tram.
Il sistema, per la cronaca, è denominato ART (Autonomous rapid transit). Quindi stessa capacità, confort e silenziosità ma costi di costruzione e manutenzione enormemente inferiori; addirittura, per quanto riguarda l’infrastruttura, quasi azzerati. Sistemi che hanno fatto ulteriori progressi negli ultimi due anni, dopo essere entrati in esercizio in alcune città cinesi. C’è chi prevede che potrebbero soppiantare del tutto i tram su ferro nel giro di un decennio.
D’altronde, l’interrogativo è d’obbligo: in queste condizioni, varrà ancora la pena realizzare le tradizionali linee tranviarie, costose sia in fase di costruzione che, purtroppo, anche in fase di gestione?
La risposta devono darla i nostri amministratori. Possibilmente senza innamorarsi troppo degli slogan e delle partigianerie, tanto care ai politici di casa nostra.