IL CASO DEL PONTE SUL SOSIO E DELLA METRO DELLA VAL FORMAZZA: A CONFRONTO FERROVIE SICILIANE DISMESSE E DEGRADATE E FERROVIE DEL NORD TRASFORMATE IN METRO’

Due notizie hanno colpito chi scrive nelle ultime settimane.

Il 16 dicembre scorso, nei pressi di Chiusa Sclafani, sono crollate alcune arcate dell’ex  viadotto ferroviario sul fiume Sosio, chiamato “tredici luci”, lungo il tracciato della linea dismessa Palermo-Corleone-San Carlo.

Nel frattempo, nella parte opposta e più fortunata d’Italia, veniva presentato il progetto di una ferrovia chiamata “metro” alpino, tra la val Formazza, in Piemonte, e la Vallemaggia, in Svizzera.

Due eventi del tutto antitetici, nel tempo, nello spazio e nell’approccio al sistema ferroviario.

IL CROLLO IGNORATO DEL PONTE “TREDICI LUCI”

Nel primo caso, colpisce soprattutto l’indifferenza che ha seguito l’evento. Quella delle istituzioni era abbastanza scontata: vista la scarsa attenzione al sistema ferroviario esistente, ci meraviglieremmo parecchio se vedessimo alzare una sola parola di protesta nei confronti del degrado di una linea dismessa.

Quel che colpisce di più, invece, è che, fatta eccezione per l’Associazione Ferrovie Siciliane di Giovanni Russo, sempre concretamente attenta alle vicende legate alle ferrovie dismesse, nessuna delle tante associazioni di ferroamatori operanti sul territorio siciliano ha sentito il bisogno di emettere un qualsivoglia comunicato di sdegno, riprovazione, sorpresa di fronte  allo scempio di un patrimonio infrastrutturale fatto di vere e proprie “opere d’arte” da salvaguardare, quanto meno, per il loro perfetto inserimento nell’ambiente.

Il riferimento va soprattutto a quei sedicenti ferroamatori che accolgono con commovente entusiasmo, e con tanto di bandierine in mano, quei pochi treni storici che, di tanto in tanto, percorrono le ferrovie siciliane. Se non, addirittura, l’apertura, per una mattinata, di un tratto di ferrovia di un chilometro e mezzo: è successo nei pressi di Noto, un paio di settimane fa.

Nonostante i sopraluoghi dei tecnici e gli stringati comunicati stampa seguiti al triste evento, prevediamo che presto cadrà nuovamente l’oblio sul ponte e sulla ex ferrovia Palermo-S. Carlo, chiusa dagli anni Sessanta del secolo scorso. Seguiranno certamente altri crolli ed altra indifferenza.

LA METRO DELLA VAL FORMAZZA

Per quanto riguarda la seconda notizia, rimaniamo sorpresi della volontà, tutta nordica, di dotare il territorio di vettori di mobilità in grado di portare uno sviluppo reale al territorio. Un’opera, quella della val Formazza, che ricade in un’area piuttosto isolata e poco abitata del territorio italiano, da unire ad un’altra area altrettanto spopolata in territorio svizzero. Sulla quale occorrerà realizzare, udite udite, una galleria di 5,8 km.

Stando ai canoni classici della tecnica trasportistica, non varrebbe la pena andare al di là di uno studio di fattibilità, che darebbe certamente esito negativo. In realtà, di esempi simili ne esistono già, e da parecchio. Lo è la ferrovia della Val Venosta, già dismessa alla fine del secolo scorso e rimessa in esercizio nel 2005, che con i suoi 57 km su un territorio che conta meno d 50.000 abitanti, riesce a muovere 3 milioni di viaggiatori l’anno. I residenti nella Valle alto-atesina, dove l’occupazione è cresciuta del 25% da quando la ferrovia è ripartita, hanno praticamente rinunciato all’automobile.

Il turismo, che si è fortemente incrementato, rappresenta solo un terzo del traffico in linea: il che dimostra che queste infrastrutture, anche se vengono concepite sull’onda della suggestione turistica, finiscono col diventare uno strumento di mobilità universale che rilancia in maniera formidabile lo sviluppo del territorio stesso. A condizione, ovviamente, che non vi si faccia passare soltanto qualche vecchio treno storico ogni tanto.

Un approccio intelligente rivolto al futuro, con una visione della ferrovia come vettore principale di mobilità grazie alla sua intrinseca sostenibilità; una visione non a caso coerente con la programmazione europea che incoraggia, ovunque, lo sviluppo del trasporto su ferro. Anche con riferimento alle vecchie linee non più utilizzate: si pensi ai 3000 km di ferrovie dismesse che in Germania saranno riaperte nei prossimi anni.

LE FERROVIE DIMENTICATE ED I TRENI STORICI SICILIANI

In Sicilia, invece, siamo ancora rimasti alle bandierine ed alle vaporiere una tantum. Lungi dal proporre il ripristino di tutte le vecchie ferrovie a scartamento ridotto, ci accontenteremmo, almeno, di seri progetti di fattibilità per la riapertura di alcune tratte all’esercizio commerciale, a partire dalle più promettenti.

Si pensi, ad esempio, alla Alcantara-Randazzo, che correndo lungo una bellissima valle e toccando diversi centri abitati potrebbe, come la Val Venosta, diventare uno strumento di mobilità indispensabile per i residenti e per la penetrazione turistica in territori incontaminati ed ancora poco conosciuti. Ma, guarda caso, per questa linea si prevede, al massimo, il recupero come “ferrovia turistica” ovvero, al di là della denominazione, pochi, vecchi treni arrugginiti l’anno. Con tanti saluti ai bei discorsi sulla mobilità sostenibile e sul rilancio della aree depresse del meridione.

Si pensi, a tal proposito, anche al rilancio di tante ferrovie in esercizio attualmente sottoutilizzate, definite a torto “secondarie”. In Sicilia, abbiamo l‘esempio della Circumetnea, realizzata a scartamento ridotto a fine ‘800 lungo le pendici dell’Etna. Una ferrovia che presenta, nel contempo, una importantissima funzione di collegamento dei comuni dell’area metropolitana di Catania, al punto da essere frequentatissima da studenti e pendolari, ma anche una straordinaria attrattiva turistica.

Ma purtroppo, la linea è fortemente sottoutilizzata. Pochi treni al giorno e molti bus sostitutivi ne caratterizzano l’esercizio, anche laddove sono stati eseguiti lavori ammirevoli di riammodernamento ed interramento (tratta Paternò-Adrano, con molte fermate in galleria in corrispondenza dei principali centri, come una vera metropolitana). Sulla Randazzo-Riposto solo un paio di corse al giorno su ferro. E, nonostante le potenzialità turistiche, la linea è completamente chiusa la domenica.

Se, almeno qui, non siamo all’abbandono più totale, non vorremmo che vi si arrivasse nel giro di pochi anni.

L’INDIFFERENZA DEL TERRITORIO

Ma, sulla ferrovia, occorre che ci credano tutti, a partire dagli Enti locali. Troppo spesso attivi soltanto quando si paventa la chiusura delle linee da cui sono serviti, e spesso incapaci di evitarlo. E che dovrebbero finalmente superare i propri confini comunali per fare finalmente “gruppo” ed andare a bussare alle porte della Regione, competente sul tema del Trasporto Pubblico Locale ed ancora troppo poco convinta del ruolo chiave del trasporto ferroviario. Al quale riserva annualmente un quarto delle risorse spese dalla Lombardia sul proprio territorio. E che dedica, nell’epoca in cui si registra la massima attenzione di sempre alle problematiche ambientali, ben altre attenzioni ai trasporti su gomma.

Eppure, non sarebbe difficile ipotizzare una programmazione che tenga conto di entrambi i vettori, in collaborazione e non più in concorrenza, con tratte servite contemporaneamente dal treno e da 3-4 compagnie di bus, mentre le stazioni ferroviarie vengono sistematicamente ignorate dai vettori su gomma.

In un territorio, quello siciliano, che vede ben pochi centri abitati serviti da stazioni ubicate al proprio interno, sarebbe semplice, opportuno ed utile pensare a linee automobilistiche che colleghino le stazioni ai centri abitati di riferimento, lasciando al treno (e solo ad esso) il compito di coprire i tragitti di collegamento con le grandi città. Salvaguardando, nel contempo, il rispetto per l’ambiente, la celerità dei collegamenti ma anche il legittimo ruolo a chi gestisce le autolinee.

Insomma, se gli esempi che abbiamo visto in nord Italia ed all’estero ci confermano che il futuro è dei trasporti su ferro, prendiamo tristemente atto che ancora, in Sicilia, il trasporto pubblico è gestito come ai tempi del boom economico. Non soltanto lasciando andare in malora le vecchie ferrovie dismesse, ma ignorando persino l’importanza di quelle in esercizio, dove spesso viaggiano pochi treni al giorno. Quando arriverà, da queste parti, il XXI secolo?