FERROVIE TURISTICHE, ENTI LOCALI ED ASSOCIAZIONI COMINCIANO A CAPIRE IL GRANDE INGANNO CHE NASCONDONO
“Se turismo vuol dire fare 6-8 corse in un anno, di un giorno solo, forse di turismo sappiamo ben poco.”
La frase è assolutamente condivisibile, e fotografa molto bene la condizione delle cosiddette “ferrovie turistiche” sparse su tutto il territorio nazionale e classificate come tali dalla Legge 128 del 2017. Ferrovie che, in realtà, avrebbero dovuto chiamarsi in un altro modo, e non soltanto per la riflessione contenuta nella premessa.
Assurdo, infatti, pensare di incrementare il turismo con poche corse all’anno, ma soprattutto farlo con i soli treni storici, anche se molto apprezzati dai ferroamatori. In alcuni casi si tratta di vagoni che hanno più di un secolo, trainati da locomotive a vapore ancora più anziane. Fattore che impedisce, su queste linee, un servizio regolare e frequente, in grado non soltanto di incrementare sul serio il turismo, ma anche di implementare il trasporto ferroviario e la sua sostenibilità nei territori.
Ma torniamo alla frase in premessa, che troviamo nella pagina Facebook “RIVOGLIAMO LA NOSTRA FERROVIA AVELLINO – ROCCHETTA…di LINEA !!!” che sostiene il ritorno del trasporto ferroviario nelle aree interne del territorio, che potrebbe concretizzarsi con la trasformazione della ferrovia “turistica” Avellino-Rocchetta Sant’Antonio/Lacedonia in ferrovia ordinaria ad uso commerciale, sfruttando i fondi disponibili.
Ad esempio quelli del PNRR, che, contrariamente alle finalità di “sostenibilità” del trasporto pubblico che il Piano si è dato, non sono destinati al ripristino commerciale di queste ferrovie, ma a quello “turistico”, e solo per alcune di esse.
Eppure, nel caso specifico, la stessa Regione Campania sta vagliando di una bretella per il collegamento veloce nazionale delle aree Interne, sfruttando un’altra vecchia ferrovia dismessa: la Eboli-Calitri/Pescopagano che potrebbe collegarsi con quello che un giorno sarà (forse) la linea Alta velocità Salerno – Reggio Calabria, il cui tracciato passerà proprio da Eboli.
E che, poco più avanti, verrebbe ad intersecarsi con un’altra ferrovia dismessa: la Sicignano degli Alburni – Lagonegro, conosciuta anche come ferrovia del Vallo di Diano e chiusa al traffico dal 1987. In questo caso, sarebbe spontaneo ipotizzare un’interconnessione tra linea veloce e linea locale, in maniera tale da rendere effettivi, per tutti i centri del Vallo, i benefici della linea ad AV, con collegamenti capillari sul territorio afferenti al futuro asse AV.
Ma, anche in questo caso, l’apertura della linea dismessa è prevista soltanto a fini turistici. Motivo? I costi definiti “esorbitanti” ammontano a 750 milioni di euro per il ripristino dei suoi 78 km, secondo uno studio commissionato dalla Regione Campania a Rete Ferroviaria Italiana. Cifra che si riduce inspiegabilmente a “soli” 270 milioni se si ipotizza il solo esercizio “turistico” ovvero storico a 6/8 treni l’anno, anziché qualche migliaio.
Anche se fossero attendibili questi costi (i treni storici necessitano di binari, opere d’arte e fabbricati di stazione che presentino standard di efficienza e, fortunatamente, sicurezza identici a quelli delle ferrovie ordinarie), avrebbe senso spendere un terzo abbondante per avere un millesimo del traffico?
Assurdo, ma è quello che succederà e, in parte, già succede in tutta Italia. Sulla breve linea Agrigento Bassa – Porto Empedocle (10 km), ad esempio, sono stati spesi diversi milioni di Euro per la riqualificazione dell’armamento, ma l’ultimo treno in transito, rigorosamente “turistico” lo si è visto in occasione delle “giornate del FAI” del 26 e 27 marzo 2022, con la bellezza di 12 treni in tutto, 6 di andata e altrettanti per il ritorno. Da allora, nient’altro in programma, nonostante la stagione turistica sia entrata nel pieno del suo vigore.
Non è un caso che da quando la linea è stata resa “turistica” si sono moltiplicati gli appelli dei sindaci del centro empedoclino, stanchi di vedere i propri concittadini costretti ad utilizzare il pullman nonostante la presenza di una centralissima stazione, al suo ripristino commerciale.
Insomma, linee ferroviarie usate “una tantum” che hanno avuto ben pochi effetti ”turistici” e molte proteste dai territori… Ma guai a definirle un fallimento. Si potrebbe incorrere nelle ire di chi sostiene Fondazione FS Italiana, società del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane da sempre impegnata nella trasformazione di ferrovie sospese o dismesse in “ferrovie turistiche”.
Ne è un esempio l’Associazione Ferrovia Valle Alcantara che propone questo destino per la Alcantara-Randazzo, 37 km tra Etna e Nebrodi. Non sono mancati, negli anni passati, persino gli annunci di riapertura della linea, per intero, e persino a breve termine.
Il Comitato pro ferrovia Valle Alcantara, che invece combatte per il ripristino della linea all’esercizio commerciale, sostenuto dalle amministrazioni locali, ha sempre smentito tali annunci, prevedendo brutte sorprese. I timori del Comitato si sono puntualmente concretizzati di recente, quando è stata annunciata in pompa magna la riapertura della linea a soli “fini turistici” limitata a 10 km con una spesa di 15 milioni di euro.
Annuncio che ha spiazzato gli stessi sostenitori della “ferrovia turistica”, che sono dovuti intervenire pubblicamente, su “La Sicilia” del 3 giugno scorso, affermando che “non tutto è perduto” per il ripristino completo della tratta.
Tralasciando, anche in questo caso, l’esiguità della somma stanziata (che fa impallidire persino la stima della Sicignano-Lagonegro…), appare evidente la scarsa attenzione verso i territori attraversati, che nel caso della linea alcantarina sono stati del tutto ignorati ed inesorabilmente tagliati fuori dal mezzo di trasporto sostenibile per antonomasia, che il PNRR dovrebbe implementare, in linea con quanto sta succedendo in tutta Europa.
Eppure tutti i sindaci interessati, non più tardi di un paio di mesi fa, su iniziativa del Comitato pro ferrovia Valle Alcantara si sono appellati al presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, affinché intervenisse a favore del ripristino commerciale della linea. La loro nota è rimasta senza risposta, a dimostrazione che anche le regioni, responsabili per legge del Trasporto Pubblico Locale, condividono questa incredibile mortificazione del mezzo su ferro. E non succede soltanto al sud.
Nel profondo nord, in Piemonte, si assiste da anni all’accantonamento di tutte le ferrovie dismesse del cuneese e dell’astigiano. La Asti – Chivasso, sospesa dal 2011, ha rischiato a lungo di essere trasformata in pista ciclabile, mentre molte associazioni ed amministratori della zona ne auspicavano la riattivazione integrale, anche con treni ordinari, realizzando le piste ciclabili sulle strade secondarie e su quelle di campagna.
Invece, si è scelto anche in questo caso la destinazione a “ferrovia turistica” con tanto di lavori di riqualificazione, pagati dal contribuente, e destinati solo ai pochi treni annui a cui accennavamo in premessa. Anche nel profondo nord, quindi, si ripete quanto avvenuto ad Agrigento o ad Avellino, e dispiace che chi dovrebbe sostenere il trasporto ferroviario sia caduto nell’equivoco. E’ successo al Co.M.I.S. (Coordinamento per la Mobilità Integrata e Sostenibile) favorevole all’intervento sulla Asti-Chivasso, nella speranza di un futuro “upgrade tecnologico” che trasformerebbe la linea da turistica a commerciale.
Un upgrade che, in realtà, non è stato mai avviato in nessuna “linea turistica” e che non è veramente credibile, nei fatti. Una cosa, infatti, è far viaggiare pochi treni storici l’anno, un’altra è garantire un servizio quotidiano e frequente ai cittadini. Una cosa è farlo fare a Fondazione FS ed alle Associazioni amiche, altro è farlo fare a chi gestisce sistemi di mobilità a scopo commerciale: è necessaria, in questo ultimo caso, una volontà politica che, allo stato, vira da tutt’altra parte.
Il gruppo FS, peraltro, già proprietario di ANAS, dispone anche della rete stradale, ed è facilissimo prevedere un coinvolgimento sempre maggiore del gommato sulle linee considerate, a torto, “secondarie”. Se si considera che offrire un posto/passeggero su pullman costa un quarto che offrirlo su treno, il trasferimento di quote di mercato alla gomma appare più che un’ipotesi, in barba ai tanti bei discorsi sulla sostenibilità ed alle stesse direttive europee.
Per le linee dismesse non resterebbe altro destino che la loro trasformazione in enormi luna park per i pochi appassionati del settore, opportunamente finanziati dalle regioni, tanto restie ad implementare i fondi per il trasporto pubblico su ferro. Altro che “upgrade tecnologico” e formulette simili, buone soltanto ad ammansire, con la complicità di qualche associazione compiacente, quegli enti locali che, ormai, hanno cominciato a mangiare la foglia.
Infatti, come abbiamo visto, fortunatamente, non mancano i soggetti che al trasporto ferroviario ed alla sua sostenibilità ci tengono sul serio, evidenziando ogni giorno di più le contraddizioni di un sistema che toglie, invece che offrire, mobilità sostenibile al territorio.
Comitato Pro Ferrovia Valle Alcantara