Riflessioni sul lavoro e sugli slogan che non risolvono i problemi. Il subappalto è una necessità, non un problema.
La Festa del Lavoro è, ogni anno, un’occasione per fare il punto sulla condizione dei lavoratori nel nostro Paese, in cui si sottolineano, giustamente, le condizioni di sfruttamento al quale spesso è sottoposto chi va a guadagnarsi il pane. Un soggetto, il lavoratore, che finisce con l’essere ricordato solo in questa occasione che capita una volta ogni 365 giorni. Troppo poco.
Eppure, anche in questa circostanza, la retorica prende troppo facilmente il posto delle iniziative concrete e delle proposte serie. Spesso si ha l’impressione che tutto si riduca ad una vuota enunciazione di slogan, che magari si confondono nella musica dell’immancabile, spesso pregevole, concertone organizzato dai sindacati.
Diversamente, non sarebbe possibile sentire dire ad uno dei leader di queste indispensabili organizzazioni di tutela dei lavoratori, che l’attuale Codice dei Contratti Pubblici avrebbe addirittura “autorizzato il subappalto a cascata”. Frasi da facile appaluso, che fanno presa su un falso mito: quello del subappalto, causa di tutti i mali.
L’eterna questione del subappalto
Va subito chiarito un aspetto: se il nuovo Codice ha allargato le maglie sui subappalti non lo ha fatto per un capriccio del governo in carica, in un impeto di liberalismo, ma per una precisa esigenza: quella di adeguarsi alle direttive dell’Unione europea che, strano ma vero, non pone alcun limite al subappalto.
Per giunta, il nuovo Codice, in maniera inspiegabile, non la recepisce integralmente, mantenendo un limite del 50% ai subappalti che riguardano la “categoria prevalente”. Essendo ogni appalto identificato da una o più categorie di lavori, definite da una classificazione ben precisa, (ad esempio lavori stradali, opere impiantistiche, condotte idriche, etc.), la “prevalente”, come dice il termine, è quella di maggior importo.
Può quindi capitare che, qualora si fosse in presenza di una sola categoria (che giocoforza sarebbe identificata come “prevalente”) l’attuale Codice vieti ancora di subappaltare la metà dei lavori. In palese contrasto con la normativa UE ed in barba al presunto “liberi tutti” attribuito all’attuale normativa da chi commenta i fatti, anche tragici, ispirato dall’insana abitudine di fare politica, sempre e comunque. Cosa che capita, occorre dirlo, non proprio raramente fra i sindacalisti.
Figuriamoci, poi, se tale Codice possa autorizzare i “subappalti a cascata” come pure è stato tranquillamente sostenuto.
In realtà, sul subappalto “cattivo” sarebbe il caso di dire, finalmente, come stanno veramente le cose. Evitando di lisciare il pelo al facile scandalismo da applausi che serve soltanto ad allontanare l’individuazione della vera causa dei problemi.
Chi lavora in questo settore sa benissimo che senza subappalto sarebbe pressochè impossibile porre a termine lavori di una certa entità e difficoltà. Nel campo delle Opere Pubbliche, provate ad immaginare cosa possa significare realizzare un’autostrada o una linea ferroviaria. Chi si aggiudica questo tipo di lavori, e magari ha sede lontanissimo dai luoghi di esecuzione, non ha praticamente scelta, almeno per due motivi:
- trasferire mezzi e personale non sempre è possibile, soprattutto se le quantità sono notevoli o se si è impegnati in altri lavori; l’alternativa sarebbe assumere lavoratori sul posto, provvedendo direttamente alla loro formazione ed acquistare o noleggiare i mezzi necessari, organizzando ca capo a piedi tutta l’organizzazione dell’impresa su base locale. Tutte cose che, nel migliore dei casi, fanno perdere un sacco di tempo ed incrementano le spese generali dell’impresa che, dovendo assicurarsi un utile, da qualche parte dovrà pure recuperare.
- La specializzazione dell’impresa, per quanto grande, non può coprire tutti i campi: ci sono categorie per le quali o ci si associa con altre imprese, oppure occorre necessariamente subappaltare. Anzi, per determinate categorie di opere, i bandi di gara possono rendere il subappalto obbligatorio.
Chiediamoci, ad esempio se fosse stato possibile, senza subappalto, realizzare opere come la TAV o, in tempi più lontani, l’Autostrada del Sole. Certamente no, anzi: per opere così grandi, i subappalti si contano a decine. Offrendo a ditte locali occasioni di lavoro irrinunciabili, con le conseguenti opportunità di crescita, nel fatturato e nella capacità esecutiva. Ed a chi vive sul posto, occasioni di lavoro e specializzazione.
Quindi, il subappalto, lungi dall’essere un problema, spesso è semplicemente una necessità; molto spesso, un’opportunità per imprese e territorio. Probabilmente la cattiva fama del subappalto sta nella superficialità con cui si affrontano temi grazie ai quali è facile puntare il dito sui datori di lavoro, nell’ambito di una cultura come quella italiana, molto lontana dal liberalismo anglosassone e troppo incline al populismo.
I veri problemi del subappalto, di cui nessuno parla
Ovviamente, come in tutte le umane cose, nell’ambito del subappalto le storture non mancano, ma vengono regolarmente ignorate dal dibattito pubblico. I contratti di subappalto, come sa bene chi ha avuto un po’ di pratica nel settore, ed i cantieri non li ha visti solo in TV, spesso sono veri e propri contratti capestro. Obblighi solo ed esclusivamente a carico delle imprese subappaltatrici che, oltre ad accedere ad un utile ridotto, vengono di oneri e responsabilità. Nulla, nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici (ma neanche nei precedenti) limita l’arbitrarietà di questi accordi tra imprese che tutelano solo i più forti, a danno di quella piccola e media impresa di cui, a parole, tutti si fanno vanto. Ma guai ad entrare nel merito, magari vietando di inserire clausole, in questi contratti, che derogano persino le norme del Codice Civile
Per quanto riguarda il tema, sempre caldissimo, della sicurezza dei lavoratori, occorrerebbe comprendere perchè altrove, in Europa (dove il subappalto, come abbiamo visto è sostanzialmente liberalizzato), si riesca ad evitare tragedie come quelle a cui dobbiamo assistere periodicamente in Italia. E ciò avviene in presenza di una normativa sulla sicurezza che, a detta di tutti gli esperti del settore, è fra le più restrittive al mondo e vale sia per i cantieri pubblici che per quelli privati.
Magari sarebbe il caso di insistere maggiormente sui controlli nei cantieri, che farebbero in modo che le migliaia di pagine di Piani di Sicurezza, Documenti di valutazione dei Rischi, Piani Operativi di Sicurezza, etc. etc. diventino finalmente realtà. Considerando che gli organismi proposti ai controlli, nei cantieri pubblici come in quelli privati, negli ultimi decenni sono stati lasciati colpevolmente sguarniti. Intere regioni, come il Molise, non hanno un solo ispettore INPS a disposizione.
Ecco dove occorre lavorare: sulle cose concrete. Troppo facile inventarsi limiti e divieti in barba alle stesse normative che ci siamo impegnati ad osservare in campo europeo. Più difficile è riformare le modalità contrattuali tra privati e riammodernare, rimpinguandoli, gli organismi di controllo; facendo magari in modo che ogni impresa edile sia sottoposta ad ispezione più frequenti, e non ogni 14 anni come avviene, mediamente, oggi.
Perché, in questo caso, non basta un voto in Parlamento, da pubblicizzare enfaticamente su giornali e TV: occorre prevedere investimenti, nominare dirigenti seri e non sceglierli in base alla tessera; e, magari, scontentare la parte peggiore della classe imprenditoriale che ai controlli è particolarmente allergica