Pochi giorni fa l’ing. Ercole Incalza, un tecnico di gran fama, già Direttore generale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha rilasciato un’intervista in cui detta la sua ricetta per realizzare il Ponte sullo Stretto, dopo l’inopinato voto parlamentare che nel 2011 ha stabilito la fine della fase esecutiva dell’opera, avviata con la gara di appalto del 2004 dopo decenni di chiacchiere.
In quegli anni, si stava lavorando al progetto definitivo, poi approvato dalla società Stretto di Messina nel dicembre 2011; successivamente, si è riaperta la fase delle chiacchiere, oltre a quella dei contenziosi. Impensabile, infatti, che il raggruppamento di imprese Eurolink, guidata da Salini-Impregilo già esecutrice del raddoppio del Canale di Panama (opera colossale, definita dallo stesso Salini “più complessa del Ponte”), aggiudicatario dell’appalto sin dal 2005, e firmatario di un contratto per più di 8 miliardi di €, subisse questa decisione senza richiedere, quanto meno, la corresponsione delle penali e del mancato utile.
Senza contare i contenziosi aperti tra la Stretto di Messina s.p.a., messa in liquidazione, e tutta una serie di soggetti ad essa legati contrattualmente.
Se, come ci auguriamo, la crisi economica meridionale cominciasse ad essere ritenuta un’emergenza nazionale, la costruzione del Ponte dovrà necessariamente tornare ad essere prioritaria. In questo senso va il suggerimento dell’ing. Incalza, che riassumiamo in breve:
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L’opera, almeno in parte, può essere finanziata con fondi POR-FESR non spesi; si prevede una disponibilità, in tal senso, pari a 38 miliardi di Euro. Le regioni meridionali potrebbero destinare parte di questa quota al finanziamento del Ponte, piuttosto che a tante opere sparse nel territorio che difficilmente riusciranno a raggiungere l’ammontare disponibile. Si pensi che, come ha dichiarato lo stesso Incalza, le somme spese nell’ultimo quinquennio hanno raggiunto complessivamente appena 8 miliardi sui 53 disponibili; se ci si limita al mezzogiorno, il rapporto è di 3 su 20!
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In occasione della definizione del Programma comunitario 2021 – 2027, dopo il fallimento della mancata spesa delle risorse assegnate alle infrastrutture relative al Programma 2014 – 2020, le Regioni Calabria e Sicilia destinino il 40% dei rispettivi fondi POR (Piani Operativi Regionali) alla realizzazione del ponte, mentre le altre Regioni del Mezzogiorno continentale (Puglia, Basilicata, Campania, Molise e Abruzzo) destinino solo il 10% delle rispettive assegnazioni.
Per quanto concerne i costi, occorre rammentare che il Progetto del Ponte sullo Stretto di Messina è dotato di un piano economico-finanziario già approvato per tutti gli 8,550 miliardi di Euro necessari a realizzare l’infrastruttura principale e le opere di compensazione. Senza queste ultime, di importo non trascurabile, la spesa si ridurrebbe a 6,200 miliardi. Sull’entità dell’importo, occorre considerare il necessario aggiornamento dal 2011, anno dell’ultima stima approvata, all’attualità.
Ma occorre anche considerare che il piano finanziario sopra citato prevedeva anche la copertura del 60% dei costi con fondi da reperire sui mercati internazionali, nell’ambito di una procedura di Project Financing. Infine, va tenuto presente che le opere comprese nei corridoi TEN-T sono finanziate per una quota pari al 20% da fondi comunitari; in alcuni casi, si arriva al 40%, come per il tunnel di base del Brennero. Il Ponte sullo Stretto, compreso nel corridoio Scandinavo-Mediterraneo, può usufruire di questa ulteriore quota di finanziamento.
Si tratta pertanto di somme facilmente ottenibili con gli strumenti sopra descritti, senza aggravio per le casse dello Stato e consentendo alle regioni meridionali di usufruire, in maniera più che produttiva, di somme che, altrimenti, sarebbero restituite alla UE.
L’intuizione di Incalza, invece, ci consentirebbe di prendere dall’Europa quanto di positivo la stessa ci mette a disposizione, a fronte di lacci e laccioli di cui ci si lamenta continuamente, e spesso in maniera strumentale. Per altri versi, si verrebbe incontro proprio alle raccomandazioni della Commissione Europea, che più volte ha rimproverato al governo italiano di destinare troppe poche risorse alle proprie regioni meridionali.
E’ grande la responsabilità della politica in una scelta del genere, che metterebbe finalmente i nostri amministratori di fronte alle loro responsabilità, togliendo di mezzo il facile alibi dei costi insostenibili. Alibi peraltro mai utilizzato quando si trattava di finanziare opere ubicate più a nord, a fronte di benefici inferiori o tutt’altro che certi.
Il discorso riguarda il governo nazionale, certo, ma senza alcun dubbio richiama al loro dovere i rappresentanti delle regioni coinvolte. Opinion maker, media e politici nazionali considerano la classe politica meridionale – la Regione Sicilia, per opinione ampiamente diffusa e condivisa, ne è l’emblema negativo – come la principale responsabile del disastro del Meridione. Il malgoverno locale (spesso innegabile) è utilizzato per occultare e negare le responsabilità dei governi nazionali. La proposta Incalza offre alla politica meridionale la possibilità di smentire, per una volta, questa accusa, superando i gretti egoistici interessi di bottega che l’hanno caratterizzata nel nome di una visione che abbraccia tutto il Mezzogiorno e ne individua il ruolo nel panorama euromediterraneo.
Come fanno, proficuamente, le Regioni del Nord, dove Terzo Valico, AV/AC Brescia-Padova, Tunnel del Brennero, Tav Torino-Lione e la stessa Autonomia differenziata sono sostenuti da tutti, prescindendo dalla Regione e dal partito di appartenenza. In questo caso, il primo passo spetta alla Regione siciliana ed al suo Governatore, da sempre favorevole al Ponte. Siamo certi che non mancherà di cogliere questa occasione, dimostrando di saper passare dalle parole ai fatti. Diversamente, la classe politica siciliana dimostrerà di meritare tutte le accuse e la disistima che l’hanno sommersa negli ultimi anni.