Addentrarsi in un’analisi un po’ più tecnica delle chiacchiere ferragostane che hanno caratterizzato l’idea del tunnel sotto lo Stretto, rischia di essere controproducente. Di questi tempi, si sa, le chiacchiere valgono molto più dell’evidenza scientifica, e da quando qualcuno ha messo in dubbio persino i vaccini, chi argomenta con numeri certi e dimostrabili può essere guardato con sospetto. Correremo il rischio.

 

Alcune cose ci hanno impressionato di quanto abbiamo letto a proposito del tunnel, tanto amato dalla ministra alle Infrastrutture De Micheli e, soprattutto, dal viceministro Cancelleri da essere candidato seriamente a comparire nella lista che dovrà essere pronta a metà ottobre all’interno del Recovery Plan. E cosa importa se, allo stato, non esiste neanche l’ombra di un progetto, come vedremo.

 

Innanzitutto, non abbiamo ancora ben capito se quest’opera sarà soltanto ferroviaria o potrà veicolare anche mezzi su gomma. Per comprenderlo ci atterremo alle pubblicazione dell’ing. Giovanni Saccà, ideatore dell’opera ma non progettista (non essendoci un progetto..), come egli stesso ha tenuto a precisare con lodevole onestà intellettuale. Secondo quanto apparso nei più recenti atti congressuali a firma dell’ingegnere, sembra che si parli di tunnel per entrambe le soluzioni. Anche se, occorre dirlo, fino a qualche anno fa (era il 2017) Saccà, sulla rivista “Transmittworld” prendeva in considerazione tutte le ipotesi, anche quella del tunnel”flottante” a mezz’acqua e del ponte sospeso a più campate; concludendo che “(https://transmitworld.files.wordpress.com/) “L’importante è comunque accelerare l’inizio dei lavori per l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina in modo da creare al più presto migliaia di posti di lavoro in una zona che vive da ormai troppo tempo una situazione di sofferenza dal punto di vista dell’occupazione e della coesione territoriale e sociale.” Affermazione che ci vede pienamente d’accordo.

 

Così come ragionevole appare l’affermazione, nella stessa sede, secondo la quale occorreva prendere in considerazioni ipotesi alternative al Ponte soltanto ”nel caso in cui non si riuscisse, in tempi brevi e certi, ad ottenere dalle Autorità competenti tutte le approvazioni necessarie per l’avvio della “Progettazione Esecutiva” del Ponte sullo Stretto a campata unica ed a reperire i fondi necessari per finanziare il progetto.” Un’affermazione che toglierebbe di mezzo qualsiasi indugio, con le disponibilità economiche del Recovery Plan a portata di mano ed avendo a disposizione un progetto definitivo ed un appalto già assegnato. Invece, sorpresa: lo stesso Saccà dichiara adesso che il tunnel è preferibile al Ponte.

 

Lo fa proprio nei giorni scorsi, quando rivela a “Repubblica “ (10/08/2020) che rispetto al Ponte “Il tunnel costerebbe di meno”… “da un miliardo fino ad un massimo di 1,6 miliardi..” e che, inoltre, “il mio tunnel sarebbe pronto invece in appena cinque anni”. Proprio queste affermazioni, passate pressochè inosservate, hanno particolarmente colpito chi scrive, abituato, come Saccà, anche a leggere; ciò che aiuta a farsi un’idea su costi e tempi, sospettando che, in certe affermazioni, qualcosa non quadri. Proviamo a fare una valutazione, anche approssimativa, di costi e tempi per un siffatto tunnel. Ovvero un “sistema” di tunnel, dovendosi necessariamente realizzare due tunnel per la ferrovia, oltre ad un tunnel di servizio per manutenzione ed emergenza, sul modello del tunnel sotto la Manica. Stessa cosa occorrerebbe fare per il tunnel autostradale, anche se le dimensioni sarebbero maggiori, così come più complesse sarebbero le infrastrutture di sicurezza per gli automobilisti.

 

Il dato essenziale per una stima, ancorchè di massima, è la lunghezza di queste infrastrutture di trasporto che devono rispettare determinati criteri plano-altimetrici. In tal senso, la pendenza è l’aspetto più critico: com’è noto, una ferrovia inquadrabile nel corridoio TEN-T con caratteristiche di Alta velocità, dovrebbe avere pendenze non superiori al 12 ‰. Sono ammesse deroghe, ma sarebbe a dir poco sconsigliabile applicarle ad un’opera così sensibile per quanto concerne, soprattutto, il trasporto delle merci. L’esigenza di inserire in galleria pesanti treni containers da 750 metri (conformi alla vigente normativa Europea) contrasta fortemente con pendenze più elevate del valore anzidetto, mantenute per lunghezze notevoli.

 

Per calcolare le quali occorre considerare l’altro aspetto critico: la profondità da raggiungere sotto il mare. E qui, per la verità, l’ingegnere Saccà non ci aiuta. Tale profondità, infatti, varia continuamente, nella narrazione dell’ingegnere elettrotecnico già all’interno dello stesso articolo di “Repubblica”, nello spazio di poche righe: si passa da 150 a 200 per arrivare a 260 ed infine a 290 m. sotto il livello del mare. Ora, se si prende per buona un’altra affermazione sulla Sella dello Stretto, posta “a una profondità di 170 metri” ci si chiederebbe come fa un treno a rimanere sotto l’alveo marino a -170 m. viaggiando a -150 m, ovvero 20 metri al di sopra del fondo del mare…

Fig.1 Sezione geologica per eventuale tunnel subalveo; fonte: atti convegno “Completamento del corridoio Scandinavo-Mediterraneo: l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” organizzato dal CIFI, marzo 2017[spacer height=”60px”]Fig.2 Analisi geologica e batimetria dello stretto; fonte: atti convegno “Completamento del corridoio Scandinavo-Mediterraneo: l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” organizzato dal CIFI, marzo 2017[spacer height=”60px”]

Chiaramente si tratta di un refuso, avendo ben chiaro che la profondità dello Stretto è, nel punto meno profondo della Sella, a quota -127 m. (vedi sezione longitudinale ENEA). Ma ciò non deve tranquillizzare affatto: una galleria di questo tipo, in presenza di profonde faglie e terreni poco coesivi e permeabili (Ghiaie di Messina per un ampio spessore sotto l’alveo dello Stretto) dovrebbe avere un ricoprimento “all’estradosso” (ovvero al di sopra del rivestimento della galleria) di piena sicurezza, rispetto al pericolo di infiltrazioni d’acqua alle pressioni determinate dalla notevole profondità. Pensare di passare sotto il fondo del mare in queste condizioni con un ricoprimento di pochissimi metri è improponibile. Si rammenti che una galleria subalvea a binario unico dovrebbe comunque avere una sagoma allargata rispetto alla norma, come, ad esempio, nel caso della Manica, per motivi aerodinamici e di sicurezza. In tali condizioni, è facile che l’estradosso della galleria si trovi anche ad una decina di metri sopra il cosiddetto “piano del ferro”, ovvero l’ipotetico piano di rotolamento delle ruote di un convoglio. Se ponessimo quest’ultimo a quota -150, l’estradosso si troverebbe all’incirca a -140, ovvero appena 13 metri al di sotto del fondo del mare: follia pura, con oltre 127 m. di acqua a premere sul fondo. Si pensi soltanto che sotto la Manica, con appena 50 m. di mare al di sopra del fondo e le impermeabili e compatte marne calcaree sotto, si scelse di porre il tunnel ad oltre 55 m. di profondità rispetto all’alveo marino.

 

In realtà, le conoscenze che riguardo le condizioni geomorfologiche della “sella” hanno già prodotto un’ipotesi progettuale degna di nota: è quella valutata dalla Stretto di Messina s.p.a. come fattibile tecnicamente, poi scartata a favore del Ponte per motivi di costi e di sicurezza nel lontano 1988. Lo spiega lo stesso Saccà agli atti del convegno “L’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” del dicembre 2019: “Come risulta nella relazione del Ministro Santuz del 1988, la Consulta estera, pur riconoscendo la fattibilità dei tunnel subalveioptò a favore della tipologia aerea, con particolare riguardo ad un ponte sospeso a campata unica da 3.300m, escludendo la soluzione subalvea per motivi sismici, di circo labilità stradale e ferroviaria, per l’abnorme lunghezza degli accessi, per l’elevato costo e tempi di esecuzione.”

 

E’ importante sottolineare che l’ipotesi prevedeva una quota di attraversamento dello Stretto a – 260 m. s.l.m, ritenuta sicura rispetto alle conoscenze di carattere geologico disponibili. Per questo appare a dir poco inusuale leggere che “se venisse realizzata con una pendenza del 1% potrebbe raggiungere….una quota di circa 200 m….utilizzando la pendenza del 15 per cento si potrebbe arrivare a circa 260 m…” come se potessimo scegliere a nostro piacimento la pendenza e determinare la profondità conseguente. Casomai, occorrere fare il contrario: prima fissare la profondità geotecnicamente “sicura” da raggiungere, quindi, a partire da quella, tracciare il profilo delle rampe a pendenza massima compatibile con i treni in transito (nel nostro caso, 12 ‰ sui tunnel ferroviari) fissare le pendenze e la lunghezza delle rampe. Insomma, adottare l’approccio classico del trasporti sta che, evidentemente, non è patrimonio degli elettrotecnici: stabiliti i “vincoli” di tracciato ed i punti fissi attraverso cui passare, si adatta tutto il resto.

Fig. 3 Ipotesi di massima, dell’ing. G. Saccà, relativa al tracciato ferroviario in galleria subalvea; fonte: atti convegno “Completamento del corridoio Scandinavo-Mediterraneo: l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” organizzato dal CIFI, marzo 2017[spacer height=”60px”]Fig. 4 ipotesi di tunnel subalveo (in trateggiato) proposta dall’ing. G. Saccà; fonte: atti convegno CIFI “L’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” del dicembre 2019 [spacer height=”60px”]

Se la quota di 260 m. venne ritenuta adatta nel 1988 dalla Stretto di Messina s.p.a., non vediamo perché si debba mettere in discussione oggi. Peraltro, partendo dalle conoscenze geomorfologiche di fondali dello Stretto che ci rivela la sezione utilizzata dall’ing. Remo Calzona per la sua ipotesi di tunnel a tre campate (anch’essa citata dal’ing. Saccà agli atti del convegno sopra citato, vedi fig. 1) , si può sempre far riferimento ad analoghe esperienze in altre parti del mondo. In tal senso, per geomorfologia e profondità, le analogie maggiori possono riscontrarsi nel tunnel Seikan, realizzato negli anni ’80 del secolo scorso per unire con una ferrovia a doppio binario le isole di Honshu e Hokkaido, in Giappone. Il tunnel, lungo 55 km, sotto un mare profondo 140 m, raggiunge almeno quota -270, garantendo un ricoprimento di 120 m tra il punto più alto del rivestimento del tunnel e l’alveo marino. I terreni attraversati vanno dai tufi vulcanici alle brecce fino alle rocce andesitiche, con diverse faglie subverticali. Situazione, va detto, similare anche se tettonicamente meno complessa dello Stretto, dove gli strati più superficiali del fondo marino sono caratterizzati da materiali “sciolti” (le ghiaie di Messina) e da un numero ben maggiore di faglie attive. In una condizione di questo tipo, appare ragionevolmente sicura la quota di attraversamento di -260 m. slm, adottata nell’ipotesi progettuale esaminata nel 1988 dalla Commissione Santuz. D’altronde, si tratta di una quota compresa nell’ampio ventaglio delle ipotesi di Saccà, che da -150 giungono fino a -290.

fig.5 Sezione del tunnel Seikan, fonte:https://www.researchgate.net/figure/System-of-the-Seikan-Tunnel-in-Japan_fig1_312585059[spacer height=”60px”]

Fig. 6 sezione geologica dei terreni attraversati dal seikan, fonte: https://www.slideshare.net/SanketPatil26/seiken-tunnel[spacer height=”60px”]
 

A questo punto non resta che calcolare quanto sarebbero lunghe le rampe ferroviarie. Trascurando la quota da raggiungere in superficie, che non sarebbe certamente pari a 0 né in corrispondenza della linea ferroviaria costiera che immette nella stazione di Messina Centrale, né sulla analoga line verso Reggio Calabria, da entrambe le parti dello Stretto occorrerebbe percorrere qualcosa come 21,670 km, sempre alla pendenza massima del 12 ‰. Considerando due rampe di siffatta lunghezza, oltre i 3,5 km di attraversamento in subalveo dello Stretto, arriviamo a 46,83 km (minimo) di lunghezza. Ben altra cosa rispetto ai già considerevoli 34 km previsti da Saccà. Possibili, certo, ma solo a costo di inasprire le già notevoli pendenze, a danno della percorribilità delle gallerie da parte dei treni merci, che ne risulterebbe fortemente limitata, compromettendo i benefici immensi che l’opera avrebbe, soprattutto come collegamento dei porti siciliani al continente. Rimane pertanto da risolvere un problema di non poco conto: trovare lo spazio per sviluppare i quasi 22 km di rampe sopra calcolati senza “tagliare fuori” la città di Messina e quella di Reggio Calabria..

 

Nell’ipotesi stradale, le cose andrebbero meglio, ma solo apparentemente. Con rampe ben più acclivi, pari al 4%, (il massimo consentito per un’autostrada è il 5%, ma non è consigliabile per lunghe rampe), si raggiungerebbe agevolmente la quota 0, ma non basta: bisogna salire ancora fino alla quota della tangenziale di Messina, pari ai circa 200 m. slm in corrispondenza dello svincolo Annunziata. Pertanto, occorrerebbe superare ben 460 m di dislivello, con almeno, a conti fatti, 11,500 km di rampa. Tutti in galleria, e ad una pendenza ragguardevole: pensate cosa significherebbe per i mezzi pesanti, soprattutto in discesa. Con l’ulteriore difficoltà che tra la “sella” e lo svincolo Annunziata ci sono soltanto 10 km scarsi, a giudicare dai tracciati di Saccà. Dove li troviamo i rimanenti 1.500 m? E’ lo stesso problema, in piccolo, evidenziato prima per la ferrovia. Anche in questo caso, l’unica, vera soluzione ci viene proposta dall’enorme patrimonio di studi e progettazioni già realizzati 40 anni fa. Basta dare un’occhiata, ai tracciati previsti per l’ipotesi di ponte subalveo approvata nel 1988 dove si fa ampio ricorso a tornanti e gallerie elicoidali, sia per l’autostrada quanto per la ferrovia, e su entrambe le sponde dello Stretto. Con buona pace dei tempi di percorrenza per treni AV ed automobilisti, che si troverebbero a dover affrontare un viaggio lungo, complessivamente, almeno 23,250 km: oltre 6 km in più del Gottardo, attualmente galleria stradale più lunga in esercizio al mondo.

Fig. 7, progetto di tunnel subalveo esaminato dalla commissione Santuz nel 1988; fonte: atti convegno CIFI “L’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” dicembre 2019: [spacer height=”60px”]
 

A questo punto, possiamo anche fare delle ipotesi per i costi, oltre che per i tempi di costruzione.

 

Costi di costruzione: per stimarli in maniera il più attendibile possibile, abbiamo preso in prestito alcune situazioni similari, riportate nelle tabelle. Per il caso ferroviario abbiamo riferimenti di tunnel in esercizio, un po’ meno per quello stradale, dove comunque abbiamo a disposizione opere complesse come il raddoppio del S. Gottardo. Nel caso ferroviario, i costi/km sono valutati su progetti che, come succede nelle gallerie ferroviarie di base del Gottardo e del Brennero, non hanno la galleria di servizio (nella galleria di base del Brennero è comunque presente un cunicolo esplorativo), quindi, a rigore, sono sottostimati rispetto allo Stretto. Possiamo però usufruire delle stime per il previsto tunnel Helsinki-Tallin (50 km) e del golfo di Bohai (123 km) in Cina. Operando semplicemente la media di queste opere, otteniamo 190 milioni/km per le gallerie ferroviarie. Applicando la stessa cifra (cmq sottostimata) all’ipotetico tunnel sotto lo Stretto, si perviene ad un costo di oltre 9,175 miliardi di Euro per la sola galleria ferroviaria. Per quelle autostradali, si perverrebbe al costo di 3,67 miliardi; prudenziali, perché non abbiamo considerato il tunnel di servizio che graverebbe sui costi insieme a tutte le opere connesse (cameroni di sicurezza, collegamenti stagni….). Un totale, comunque, di 12,844 miliardi di euro. Sarebbero, secondo quanto abbiamo letto su “Repubblica” cifre ben diverse da quelle dichiarate, con un eccesso di ottimismo, dall’ing. Saccà del 2020 (“da 1 miliardo fino ad un massimo di 1,6 mld…..”).Occorre però precisare che l’ingegnere elettrotecnico era meno ottimista nel 2017, quando stimò, per le stesse opere, 3,862 mld complessivamente (atti convegno CIFI “Completamento del corridoio Scandinavo-Mediterraneo: l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina” del 10/03/2017). In entrambi i casi, come abbiamo visto, un’inezia rispetto al costo reale di una galleria di tal fatta.

Tempi di realizzazione: anche in questo caso la stima non è semplice, e si può procedere solo per analogia con opere similari. Tuttavia, in assenza di opere subalvee in tempi recenti (non abbiamo considerato il Seikan, realizzato negli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, con tecnologie ormai superate) le gallerie ferroviarie di base del Gottardo e del Brennero, anche se non presentano le difficoltà legate all’attività in subalveo, per lunghezza e modalità costruttiva, ci possono fornire un paragone accettabile: i tempi di ultimazione si aggirano in entrambi i casi intorno ai 20 anni (v. tabella); in realtà solo per il Gottardo si tratta di tempi certi, essendo i lavori già ultimati dal 2016; la galleria di base del Brennero è tuttora in costruzione anche se ha superato la metà di avanzamento. I tempi per le gallerie autostradali, anche considerando soltanto i dati disponibili, che non riguardano galleria in subalveo, non sono dissimili per km di infrastruttura. Il che significa una media di circa 0.37 anni/km. In questa ipotesi, che non è affatto pessimistica, possiamo stimare 17,14 anni per la ferrovia e 8,72 per l’autostrada. Altro che i 5 anni stimati da Saccà pochi giorni fa (ma erano 6 nel 2017): il tunnel richiederebbe più di tre volte questo tempo secondo una stima che abbiamo fatto, va rammentato, su opere certamente meno impegnative..

Per par condicio, e per rispetto al Saccà del 2017, vogliamo ricordare a quanto ammontava, allacci e raccordi compresi, il contratto per il Ponte: 3,88 Miliardi di euro. Per autostrada e ferrovia. Trattandosi di un contratto, esso non è suscettibile di aggiornamenti prezzi, e quindi, allo stato delle cose, si tratta di un “prezzo bloccato”. Ma anche considerando eventuali aumenti dovuti ad un aggiornamento tecnologico del progetto, alla luce delle più recenti esperienze nel campo dei ponti sospesi, sarebbe difficile anche solo avvicinarsi alla metà dei quasi 13 Miliardi che abbiamo stimato per il sistema dei tunnel. Una soluzione, chissà perché, tanto amata da chi ha sempre predicato parsimonia e sobrietà nella spesa pubblica, e che oggi spenderebbe volentieri più dell’equivalente di 3 Ponti sospesi e relativi raccordi per avere problemi di sicurezza, manutenzione, percorribilità ed accesso alle aree urbane incomparabilmente superiori.

Per quanto concerne i tempi di esecuzione, le stime meno ottimistiche per il Ponte ammontavano ad 8 anni dalla posa della prima pietra, sempre considerando entrambi i sistemi di trasporto. Meno della metà stimata per il tunnel ferroviario subalveo.

 

Insomma, una soluzione fallimentare, questa del tunnel. Talmente problematica, da qualunque parte lo si consideri (non abbiamo volutamente trattato le problematiche di sicurezza, manutenzione, sismiche…) da farci chiedere a chi giovi quest’idea di ferragosto. Forse a chi vuole che ci si impelaghi in decenni di progettazione e studi di tutti i tipi, che, alla fine, dimostrerebbero quello che si sa da più di 40 anni? Ovvero, che l’opera è talmente poco attuabile da consigliare il suo accantonamento, per la felicità di chi gestisce i ferry boat e dei finti ambientalisti? Che in tal modo manterrebbero in piedi, in eterno, l’attuale anacronistico (ma redditizio) sistema di traghettamento, con il suo mostruoso impatto ambientale, in termini di inquinamento chimico, acustico e di danneggiamento alla fauna ittica?

 

Riflessione amara: certe idee, finchè rimangono puro esercizio accademico da parte di un non-addetto ai lavori, ci possono anche stare. Cosi come può succedere che le stesse idee appassionino i profani, magari qualche membro di qualche associazione amatoriale, esperto di trenini ma non certo di treni. Diventano invece dirompenti quando vengono strumentalizzate dalla politica ai massimi vertici, specie in uno Stato dove, con tutta evidenza, i nostri rappresentanti sembrano animati soltanto dal mantenimento della propria posizione, anche a costo di vendere fumo. In questo ambito, ha senso anche spacciare qualche tracciato sulla carta per un vero e proprio progetto, mettendo da parte i progetti veri e cantierabili nel giro di pochi mesi. A danno, ovviamente, dei cittadini, siciliani e calabresi in particolare, ed a dispetto dello spirito del Recovery Plan, che chiede equità territoriale, non chiacchiere.