Pochi giorni fa, dopo la lettura di un articolo della scrittrice messinese Nadia Terranova su “Repubblica”, edizione di Palermo, non ho potuto resistere alla tentazione di scrivere la mia su alcune affermazioni ivi contenute, a mio avviso più che discutibili. Ho inviato quanto scritto, un pò di getto, al giornale diretto da Enrico Del Mercato che ha ritenuto il mio intervento degno di essere pubblicato. Ringrazio da questa modesta sede il Direttore per l’apprezzamento, ma anche per lo spirito di pluralismo dimostrato; merce rara, nel contesto della stampa nazionale, spesso disarmante.

Riporto, di seguito, il mio intervento ed il riquadro con l’articolo della scrittrice che lo ha “ispirato”.

 
 

Ho letto sulle pagine di “Repubblica”, edizione di Palermo del 4 novembre scorso l’intervento della scrittrice Nadia Terranova dal titolo “Quel filo chiamato Stretto che ci lega alla Calabria zona rossa”. In un tripudio di miti e leggende (Colapesce, Scilla e Cariddi, le sirene..) nell’articolo si sottolineavano le caratteristiche indubbiamente peculiari non soltanto di un’area geograficamente unica, ma anche dei popoli rivieraschi. Popoli uniti da un unico destino, nonché dal “noioso spettro del ponte“, tirato fuori dalla scrittrice insieme a terremoti ed altri disastri.

 

Non che la cosa potesse sorprendermi più di tanto: siamo ormai abituati alla demonizzazione di questa ipotetica infrastruttura pubblica, da parte dei rappresentanti di una certa cultura, soprattutto dagli esponenti del “radical chic”, magari con la villa a Torre Faro. Gente che usa l’aereo per i propri spostamenti e non riesce a cogliere, spesso in perfetta buona fede, altre peculiarità della propria terrache non siano culturali o mitologiche.

 

Punti di vista legittimi per chi vive di cultura, un po’ meno per politici e rappresentanti del popolo che, proprio oggi, hanno bocciato in parlamento una mozione tesa ad inserire il Ponte sullo Stretto nell’ambito del Piano “Next Generation UE”, onde usufruire dei relativi finanziamenti. Tuttavia, non posso non cogliere, nelle parole della Terranova, un compiacimento, una sorta di complicità verso tutto quello che si può fare, in tutte le sedi, per impedire che si realizzi l’opera che unirebbe i due popoli dello Stretto non semplicemente con un “filo”, ma con uno strumento mirato a cambiare, finalmente, il corso di quella “storia di decadenza” di cui la scrittrice è ben consapevole. E, magari, far si che i porti di Reggio e Messina tornino ad essere “porti fondamentali del Mediterraneo”.

 

Si, perché a questo serve il Ponte: non dovremmo certo spiegarlo alla Terranova che sottolinea “quanto fondamentali siano le rotte del mare”. Lo erano nei tempi andati e lo sono a maggior ragione oggi, quando tali rotte ignorano la Sicilia che invece, con il Ponte, ne diverrebbe il terminale.

 

Esserne consapevole ed accettare che la Sicilia resti “un’isola per sempre” esaltando, nello stesso tempo, i tratti comuni di siciliani e calabresi appare a dir poco contraddittorio. Anche perché chi abita le due sponde dello Stretto avrebbe anche l’aspirazione a rimanerci, piuttosto che esser costrettoad emigrare al nord dove i “fili” che uniscono regioni e città hanno ben altro spessore: quello delle linee ferroviarie ad Alta velocità. Certo, saranno per sempre consolati dal ricordo delle loro comuni radici culturali e dei loro miti, che andranno a declamare ai colleghi nei loro uffici in Brianza o nel varesotto. Ma che, da soli, non saranno serviti a non strapparli al loro amato Stretto, nel quale avrebbero avuto davanti soltanto il “noioso” spettro della fame.

 

A noi che restiamo qui, stoicamente attaccati alla nostra terra ed alla nostra splendida decadenza, mentre popoli con minor bagaglio culturale e maggior fortuna economica prosperano, non resta che accontentarsi dei miti. Speriamo, insieme alla Terranova, che almeno essi resistano: che disastro se persino Colapesce decidesse di emigrare, sopraffatto dalla noia, venendo meno al suo leggendario compito.

Roberto Di Maria

Ingegnere Civile Trasportista

Amministratore blog “Sicilia in Progress”