INUTILE CHIEDERE NOMRE PIU’ SEVERE SE POI NESSUNO CONTROLLA COME SI LAVORA
La tragedia di Casteldaccia è di quelle che lasciano insieme due sensazioni: sgomento ed impotenza. Sembra ormai che il ripetersi di eventi di questo tipo sia qualcosa di inevitabile, pur nella consapevolezza che basterebbe poco, pochissimo ad evitarli.
Al di là di questo, risulta difficile fare valutazioni nel merito, a poche ore da quanto è successo. Tuttavia alcune evidenze, raccolte sui luoghi dai cornisti, consentono di farsi un’idea abbastanza chiara, anche se il condizionale è d’obbligo. Di certo, gli elementi a disposizione bastano a sgombrare il campo dalle valutazioni semplicistiche e demagogiche che in soli 2 giorni abbiamo sentito, o letto, fino alla nausea. Ma che non servono a nulla, se non a perdere di vista la vera causa di questi incidenti, rendendo più difficile la loro prevenzione.
Innanzitutto, è inutile chiedere un inasprimento delle norme di sicurezza. Arduo asserirlo in questo momento, ma è universalmente riconosciuto che quelle italiane siano le norme più restrittive al mondo. Oltre a tutte le regole comportamentali da seguire, esse prescrivono che nessuno può intraprendere una determinata mansione senza una formazione e dispositivi di sicurezza adeguati. Viene ribadito in ognuno degli innumerevoli documenti che, ai sensi della Legge madre della sicurezza (Legge 81/08) occorre redigere prima ancora di iniziare un qualsivoglia lavoro da parte di una qualsivoglia impresa,
Eppure, le testimonianze raccolte immediatamente dopo la tragedia sono concordi: nessuno dei lavoratori coinvolti indossava l’apposita maschera protettiva come pure, a quanto pare, la squadra non era in possesso di un rilevatore di gas tossici (che, secondo le rilevazioni eseguite nella vasca, avevano raggiunto una concentrazione dieci volte maggiore a quella letale). Due Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) contemporaneamente assenti.
Inoltre, stando a quanto si è saputo, la squadra dell’autoespurgo dentro la vasca di rilancio dei reflui, semplicemente, non doveva esserci. Non era previsto tra le loro mansioni, proprio perché quei lavoratori non erano formati per interventi del genere. Nonostante ciò, uno o più addetti si sono introdotti dentro quella maledetta vasca di reflui, accusando il malore letale ed attraendo, in un disperato tentativo di salvare i compagni, le altre vittime nella trappola. Fino a raggiungere il bilancio mostruoso di 5 morti ed un intossicato grave.
Va quindi chiarito perché lo abbiano fatto, e soprattutto perché nessuno, fra loro, abbia evitato che lo facessero. Il preposto, vale a dire il caposquadra, in questo caso ha un ruolo chiave, perché dovrebbe conoscere, più di tutti, quello che può o non può fare la squadra, i DPI che deve avere a disposizione ed i rischi a cui si va incontro. Tali rischi vengono esaminati, descritti, catalogati con le necessarie precauzioni nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) arcinoto a chiunque abbia avuto a che fare con un lavoro edile, dal momento che, a norma di Legge, nessuno può iniziare ad operare senza che una figura chiave, il Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) lo abbia redatto e consegnato alla committenza.
La Legge impone anche un piano di sicurezza e coordinamento (PSC), redatto dalla committenza, ed un Piano Operativo di Sicurezza (POS) redatto dall’impresa. Il primo serve soprattutto a coordinare le azioni di due o più imprese presenti in contemporanea in cantiere, e viene redatto da un Coordinatore della Sicurezza in fase di progettazione (CSP) e controllato ed aggiornato da un Coordinatore della Sicurezza in fase di esecuzione (CSE). Un’altra figura essenziale, imposta dalla normativa, è quella del Rappresentante dei Lavoratori ai fini della Sicurezza (RLS), tenuto a tutelare i lavoratori dell’impresa da eventuali carenze riguardanti, appunto, la loro sicurezza durante le lavorazioni.
Per esperienza, non escludiamo che tutti questi adempimenti siano stati eseguiti alla lettera dall’impresa che operava a Casteldaccia e dalla committenza. Eppure ci sono scappati 5 morti, forse perchè quei documenti sono stati scritti, ma non letti. E, soprattutto, perché, nel formale adempimento dei loro compiti, i vari RSPP, CSE, RLS non sono certo tenuti a presenziare l’attività delle squadre di lavoratori, per tutto il tempo in cui esse sono impegnate.
Ed ecco che, forse, arriviamo al punto: chi controlla l’attività delle imprese impegnate in opere edili o manutenzioni? Qualcuno si prende la briga ogni tanto, a campione, di presentarsi in cantiere verificando che quanto scritto nelle montagne di carte a corredo di un qualsivoglia appalto, venga trasferito alla realtà?
Se in un Paese come il nostro, che ha varato le norme che, in questa sede, abbiamo solo ricordato in minima parte, si sono contati 1091 morti sul posto di lavoro (tre al giorno) nel 2023, ciò significa che il rispetto cartolare delle norme non si trasforma quasi mai in un loro adempimento di fatto.
Non c’è da meravigliarci, dato che nel 2015, l’Inail aveva 470 ispettori che si sono ridotti a meno di 200 nel 2022 su tutto il territorio nazionale; l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) aveva 1600 ispettori nel 2015 e ne contava 970 nel 2022, con intere province ed addirittura regioni come il Molise sguarnite. E si pensi che, oltre ai cantieri delle Opere Pubbliche, occorre anche controllare quelli privati.
Pochi tra i vari commentatori della politica o dei sindacati sottolinea con adeguata forza questo aspetto. Più facile chiedere un inasprimento delle pene a carico dei responsabili (peraltro pesantissime) o l’ennesima riforma delle norme sulla sicurezza, pur restrittive come in poche parti al mondo. Meglio ancora prendersela con il subappalto, come se la scoperta che la ditta in questione operava in subappalto giustifichi in qualche modo quanto è successo. Ignorando che certi “modus operandi” diventano consueti quando si è sicuro che nessuno verrà ad ispezionare il luogo di lavoro, e non cambiano a seconda del rapporto contrattuale con la Stazione appaltante.
Quello che è successo solo ieri, ed è soltanto l’ultimo di una serie impressionante di episodi che non accennano a diminuire, dimostra in maniera inconfutabile che nessuna norma, neanche la più restrittiva, può essere rispettata senza gli opportuni controlli e le necessarie sanzioni. Ma si continua ad ignorarlo e ad urlare slogan, di facile presa fra la gente ma di poca efficacia sul campo. Nel frattempo, altri cinque lavoratori, da ieri, mancano all’affetto dei loro cari.