Qualche giorno fa la Ministra delle Infrastrutture ed i Trasporti, Paola De Micheli, nel corso di un’interrogazione parlamentare, a domanda dell’on. Faraone di Italia Viva, rispondeva che la “eventuale” realizzazione del Ponte deve scaturire da un “approfondimento delle problematiche tecnico-costruttive” nonché delle “ricadute occupazionali, ambientali, trasportistiche” dell’opera. Pertanto, ed eccoci arrivati alle parole magiche, all’esito di una “puntuale analisi costi benefici” come previsto dall’art. 23 del codice degli Appalti”.
Chi conosce la storia della progettazione del Ponte, giunta allo stadio di Progetto Definitivo, approvato nel luglio del 2011, non può che rimanere basito. Non soltanto perché il livello progettuale è tale da poter considerare l’opera praticamente cantierabile, ma anche perché ci sembra facile valutarne le “ricadute occupazionali” dato che, secondo una stima di ANCE Calabria, la costruzione del Ponte darebbe lavoro a 100.000 persone tra lavoratori diretti ed indotto per almeno 8 anni. Così come non riusciamo ad immaginare ricadute “trasportistiche” che non siano assolutamente positive, se non altro per il tempo risparmiato nell’attraversamento che, grazie al Ponte, non sarebbe più effettuato sui vecchi ferry boat. Qualcuno, al MIT, spieghi cortesemente alla Ministra che il tempo, in campo trasportistico, è una voce fondamentale di costo.
Ma la vera assurdità, echeggiata dagli scranni più alti del Parlamento, nonchè spessissimo riportata da compiacenti testate giornalistiche oltre che da esperti televisivi ad un tanto al mese, è quella dell’analisi costi-benefici. Formula magica per prendere tempo, che ha ormai surclassato tutti il campionario di tergiversazioni usato ed abusato da politici e parolai di ogni specie.
Nulla da obiettare, ci mancherebbe, alla necessità di farle, le analisi suddette. In effetti non soltanto sono necessarie, ma anche obbligatorie: come dice la Ministra, lo prevede il Codice degli Appalti. Quello del 2016, attualmente vigente, ma anche i suoi predecessori, andando indietro nel tempo fino alla famigerata “Merloni” ed alle sue gemelle bis, ter e quater, regolamenti di attuazione compresi.
Inutile ricordare, a chi non ha o non vuole avere memoria che non risalga all’ultima tornata elettorale, che queste leggi erano in vigore già nei primissimi anni 2000, quando venne redatto il progetto preliminare del Ponte, poi approvato nel 2003. Corredato di analisi costi-benefici, ovviamente positiva, tanto da porre le basi di un coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione dell’opera. Analisi poi confermata nell’ambito del progetto definitivo, approvato dopo lunghi, travagliati anni in cui non sono certo mancati approfondimenti e studi.
Ci verrebbe da chiederci: ma dove hanno vissuto i nostri rappresentanti, o buona parte di essi, negli ultimi venti anni? Possibile che non si siano accorti di questo progetto quando hanno votato, in Parlamento, nel 2013, le clausole che hanno condotto all’annullamento, di fatto, del contratto con Eurolink, siglato a seguito di una gara di appalto internazionale?
In quel caso, chissà se l’hanno letto il Codice… Non quello dei Contratti, ma il Codice Civile…. Certo non crediamo che prevedesse l’annullamento, con un voto parlamentare, di un regolare contratto: un evento più unico che raro nella storia mondiale del diritto amministrativo, che ha fatto ridere di noi tutto il mondo civilizzato. Del quale, con tutta evidenza, abbiamo scelto di non fare più parte.
Confermeremo tale scelta in maniera irrevocabile se decideremo di ignorare tutto il lavoro fatto per realizzare il Ponte, a livello progettuale, ma anche contrattuale.
Perché chiunque abbia avuto a che fare con Opere pubbliche di una certa dimensione sa benissimo che ciò comporterebbe la perdita di molti anni, forse decenni, per ognuna delle fasi progettuali previste. Con le relative, ingenti spese che si andrebbero ad aggiungere ai tanto vituperati “sperperi”, o presunti tali, della Stretto di Messina s.p.a. Il Mezzogiorno, nel frattempo, avrà raggiunto il fondo della sua inesorabile crisi economica, trascinando dietro di sé tutto il Paese, compreso quel nord miope che avrebbe perso per sempre l’occasione di creare in Italia la porta europea per le merci orientali.
Un disastro che avvantaggerebbe soltanto i nuovi progettisti, analisti “costi/benefici” compresi, possibilmente compiacenti. Li immaginiamo li, tutti in fila: studi tecnici, società di progettazione e magari qualche Università desiderosi di acquisire prestigio mondiale ed incassare qualche centinaio di milioni. Dispostissimi, ovviamente, a tirare fuori dal cilindro, per citare lo stesso Premier Conte, soluzioni meno “immaginifiche”.