Rimaniamo sempre molto perplessi quando leggiamo o sentiamo paragoni tra il viadotto Polcevera, quello dell’architetto Renzo Piano destinato a sostituire il predecessore, progettato dall’ing. Riccardo Morandi, crollato il 14 giugno 2018, e già pronto, ed il viadotto Himera, crollato il 10 aprile 2015 ed ancora molto lontano dal ripristino.

 

Perchè? Semplice: il crollo di Genova ha irrimediabilmente interrotto un’autostrada, la A10 Genova-Ventimiglia che ricopriva un ruolo fondamentale sia per scavalcare (letteralmente) la città, sia per gli intensi traffici internazionali est-ovest che essa convogliava. La percorribilità della A19, invece, dopo un periodo iniziale di disagi, invero lungo, è tuttora garantita dal ripristino della circolazione nella carreggiata superstite, in direzione Palermo, e dalla realizzazione di una bretella in senso opposto. Pertanto, entità dei flussi di traffico a parte, il ripristino dell’Himera (foto, fonte newsicilia.it) non presenta, obiettivamente, l’urgenza del ripristino del Polcevera.

 

Ciò detto, non si può comunque accettare la situazione che si è creata dalle parti di Scillato. Anche in assenza delle motivazioni genovesi, di estrema urgenza, si poteva e si doveva far qualcosa per accelerare il più possibile le fasi progettuali ed autorizzative, vere palle al piede di ogni opera pubblica italiana. E ciò vale per questa e per mille altre Opere Pubbliche di importanza similare, se non maggiore. Sulla stessa A19 Palermo-Catania non si contano i restringimenti per lavori strutturali ai tanti e malmessi viadotti che costellano l’autostrada, sempre in perenne ritardo; con il pericolo incombente di trovarsi costretti a deviare il traffico pesante o chiudere del tutto l’autostrada, come è successo troppo spesso. Possibile che per questi interventi non si riesca ad applicare procedimenti simili a quelli che hanno condotto al successo del Polcevera?

 

Fanno bene, in tal senso, le organizzazioni sindacali e gli organi di stampa a protestare, magari con paragoni non del tutto propri. A poco valgono, poi, le rassicurazioni del viceministro Cancelleri durante la sua ennesima visita al cantiere, con tanto di aggiornamento sull’entrata in esercizio del ripristinato viadotto. Dopo le preannunciate date di fine 2019, quindi marzo 2020, poi rinviata a maggio, eccoci arrivati, di bimestre in bimestre, a luglio 2020. Così come sembrano non finire mai, questi lavori sul viadotto Himera, allo stesso modo non finiscono di saltare le date per la riapertura. Indubbiamente, la crisi sanitaria del Covid19 ha complicato le cose, con comprensibili e giustificatissime ragioni di ritardo, ma le perplessità rimangono.

 

A tal proposito, consiglieremmo al giovane viceministro di essere, una volta tanto, più cauto nelle previsioni. Siamo oltre metà maggio, con le travi delle tre future campate ancora a terra. In un mese e mezzo, due al massimo, è impensabile che si arrivi, dopo il varo (ovvero il posizionamento sui piloni) della travata metallica che forma le tre campate, all’armatura della soletta, ai getti che la formeranno, alla stagionatura del calcestruzzo, all’impermeabilizzazione della superficie, alla stesa della pavimentazione, alle opere di arredo, alla segnaletica… Rimarrebbero, inoltre, ancora da fare i collaudi finali e le certificazioni di norma per rendere percorribile la carreggiata. Procedimenti a cui, converrà il viceministro, occorre adempiere prima di far percorrere il viadotto dal più leggero dei mezzi su gomma.

 

Inevitabile, quindi, l’ennesimo slittamento, sicuramente verso l’autunno. Con buona pace delle promesse fatte e delle proteste provenienti dall’Assessorato Regionale alla Mobilità, che ha addirittura richiesto, con qualche ragione, la rescissione contrattuale ed il commissariamento dell’opera. Vedendosi rinfacciare dal viceministro l’inerzia regionale circa le opere di risanamento idrogeologico a monte del viadotto, laddove la frana giace in precario equilibrio, minacciando tuttora le strutture autostradali.

 

E, limitatamente a questo argomento, non si può dar torto all’esponente del governo nazionale. Non ricordiamo, infatti, di aver avuto la benchè minima notizia di iniziative dell’Assessorato Regionale al Territorio ed all’Ambiente volte a predisporre i necessari lavori di risanamento del versante in frana. Eppure, così come cinque anni sono passati dal crollo del viadotto, altrettanti ne sono passati dall’evento franoso. Con l’aggravante che lo stesso si trova inserito in zona a rischio nel PAI (Piano dell’Assetto Idrogeologico) regionale vigente già dal lontano 2004.

Particolare della nuova travata metallica – fonte: Newsicilia.it