CONVEGNO SULLA STORIA DELLA SICILIA IL 13 SETTEMBRE A CARINI (PA)
Il prossimo 13 settembre, nel Castello di Carini, alle ore 17:30 si terrà un importante convegno dal titolo “Alle origini del declino di Palermo e del Sud Italia” organizzato da Bartolomeo Massimo D’Azeglio, autore del libro “L’Italia finisce a Napoli”. L’evento è promosso da Palermo in Progress , presentato dall’Associazione Amanti della Musica Lirica e patrocinato dal Comune di Carini.
Tra gli ospiti, gli storici Lino Buscemi, Annamaria Campo, Ambrogio Conigliaro, Sergio Salvatore Girgenti, Innocenzo Glorioso, Domenico Ortolano, Rodo Santoro (in collegamento da Roma), l’urbanista Marcello Panzarella, i sicilianisti Maurizio Cipriano, Antonio Marco Damaso, Fabrizio Matranga e Salvatore Rubbino.
In copertina, il manifesto del convegno.
Di seguito, una presentazione dell’evento, a firma dell’organizzatore Bartolomeo Massimo D’Azeglio.
Palermitani, questo è il tempo del risveglio! E questa è battaglia che intendo vincere con voi. È con queste parole che comincio il mio breve scritto. È con questa folle dichiarazione d’amore per voi che stendo queste pagine.
Sappiamo quanto sia affliggente quest’epoca, quanto ci costi più dell’oro il pane quotidiano, quanto sia diventato difficile il vivere, e mai saprete il dolore che provo nel vedere i nostri giovani emigrare. Quel che vedo mi trafigge l’anima. Provo una sincera rabbia nel non potervi aiutare, vuote son del resto le mie mani, ma vivo deve rimane l’orgoglio; vivo è il mio orgoglio, la mia voglia nel farvi conoscere chi siete stati veramente, perché possiate rinnovare le energie. Se il futuro vi appare nebuloso, sappiate che il vostro passato è stato spesso luminoso. Ed ora vi dico cose che spero siano potenti un come vento che scuote le finestre, che tiri fuori il vigore in voi, perché non c’è niente di meglio d’un popolo che ritrova la propria fierezza. Per riuscirci, però, dobbiamo rivedere un po’ la Storia.
Sappiate che Palermo ha sempre rialzato la testa, nella Storia ha sempre camminato con la schiena dritta, e l’Italia e l’Europa hanno sempre saputo di che pasta siete fatti. Dobbiamo però sbugiardare i libri di Storia, i quali vi descrivono come foste una sgualdrina dei conquistatori. Una città senza ritegno e senza onore, che non si batte per migliorarsi, e che sempre divarica le cosce ai nuovi invasori. La Storia è altra, signori. Palermo è nella Sicilia, e i siciliani sono indomiti per natura. I siciliani gridarono alla ribellione già nella Prima guerra servile contro gli oppressori Romani, siamo nel 136 avanti Cristo, e così si ripeté in Sicilia qualche anno più tardi, cioè ben prima che il rivoltoso Spartaco sollevasse un’enormità di popolo nelle terre della Campania e della Puglia. Furono gli stessi ribelli siciliani a contrastare gli invasori Arabi per ben duecentocinquant’anni. Gli stessi fieri siciliani che si ripresentarono coraggiosamente al cospetto degli Angioni, per ricacciarli da dove erano venuti, e ci avevamo già riprovato contro gli Hohenstaufen. E altro che vendere la Sicilia come sola terra di conquista e scambi di qualche buona idea, altro che unicamente questo! Palermo visse quattro secoli ininterrotti di gloria internazionale, che vanno dalla animosa conquista islamica dell’anno 831, al tragico tramonto della dinastia Altavilla, anno infausto 1194. Poi si frantumarono le nostre speranze; qui mi rivolgo ai siciliani. L’elezione di Federico II Hohenstaufen a imperatore del Sacro Romano Impero, e il definitivo spostamento a nord del cuore del Regno, spegneranno i nostri sogni di gloria. Prima d’allora, prima di quell’eclissamento delle nostre speranze, Palermo non fu da meno di ogni città d’Europa e del Mediterraneo. La città crebbe sotto gli islamici, a spese della greca Siracusa, illustre città che nei tempi più antichi ebbe Archimede e Platone, e Palermo divenne la più grande signoria d’Italia. Ma non solo. Si ingrossò il punto da diventare la seconda città d’Europa (dopo Cordova), prima in Italia per numero di abitanti, mentre si trasformò in avamposto a nord dell’Islam. Avamposto dell’Islam nel cuore della Cristianità, con l’obiettivo dichiarato di invadere l’Italia e far crollare la Cristianità, e arrestare il Papa che risiedeva a Roma. Eppure, fu proprio a Palermo che la Cristianità rialzò le sorti, la rivincita del Crocifisso sulla Mezzaluna islamica si ebbe con i cavalieri Altavilla. Il mondo latino riprendeva in pugno le sue sorti, e vedeva il suo albore nelle Repubbliche marinare di Pisa e di Genova, e tuttavia fu in Palermo che si ottenne il risveglio più convincente. Eh, sì, avvenne così: la riscossa dell’Europa cristiana si celebrò nell’islamica città siciliana. La conquista della città avvenne per mano dei cattolici Roberto e Ruggero d’Altavilla, riconvertendola in avamposto meridionale della Cristianità. La successiva fondazione di quello che sarà il celebre Regno di Sicilia, che vedrà Palermo assurgere alla più grande gloria di sempre, sarà poi visto dagli storici (Erich Caspar) come «la potenza dominante dell’Europa meridionale». Nella corte del lusso smodato e dei piaceri mondani, delle barche laminate d’oro e d’argento e degli harem, si bramavano desideri di conquiste lontane: la Ragione riluceva nel geografo Idrisi, che a Palermo ribadiva che la Terra è tonda; nell’arte attraverso la Cappella Palatina e il magnifico Duomo di Monreale che esaltava il cesaropapismo alla latina di re Guglielmo II, mentre i re Ruggero II e Guglielmo I dominavano le lontane terre dell’Algeria orientale ai confini della Cirenaica occidentale, e dalle Marche a lambire la Grecia.
Sembrava di essere al centro del mondo, a Palermo. In quella città costituita dalle tre civiltà, la latina, la bizantina, l’araba, in essa si fondevano per crearne una tutta nuova. Ebbene sì: si fondò la civiltà siciliana, fu civiltà siciliana quella del XII secolo, assolutamente siciliana. Era sì il centro del mondo la capitale Palermo; se persino i suoi re Altavilla, che pur nelle splendenti vesti portavano il vessillo della propria vittoria, con figure dorate d’un leone trionfante sul cammello (raffigurazione simbolica del trionfo dei cristiani sui mussulmani), riuscivano nella complessa impresa di sfoggiare l’arabo gusto e il più fastoso stile bizantino, mentre un corposo fiume di denaro irrorava le vene dell’economia cittadina; tanto che la città divenne la più ricca di tutta l’Europa, così come si ricordò che è genitrice della più antica nazione d’Europa. Poi smettemmo di sognare e riaprimmo gli occhi con gli Hohenstaufen Enrico VI e Federico II. Il disincanto ci fiondò addosso perché successivamente agli Hohenstaufen giunsero gli odiati Angioini, correva l’anno 1266. E quando parve tutto perduto, quando parve che l’intera Europa ci sovrastasse e ci travolgesse col tutto il suo gravoso peso, gli Angioini e i loro innumerevoli alleati, la città rialzò ancora una volta la testa. Oh, eccome se il sangue dei massacrati dilagò da Palermo in tutta la Sicilia, in quell’anno 1282! Imbrattò tutto il Sud Italia con rivolte, quel sangue. Sangue sin troppo innocente, talvolta, ma dovevamo riprenderci la Libertà sottrattaci dagli Angioini; però era già tardi. I danni commessi dagli Hohenstaufen avevano spaccato in due il felice Regno di Sicilia: da una parte l’isola di Sicilia, dall’altra quella peninsulare. Palermo vacillò in quegli anni, tuttavia la Corona gli rimaneva ancora sul capo, fiera della regalità decretata già dagli antichi Cartaginesi. Il sogno del Terzo impero, accanto a quello Bizantino e al Sacro Romano Impero d’Occidente, sfumava per sempre. Gli Angiò non conquistarono mai la rivoltosa Palermo, ma vinsero da Napoli. E così vinse pure il più preferibile Nord Italia, legato a doppio filo all’Europa. Napoli riuscì, infine, nell’impresa di strappare la corona alla più antica ed illustre capitale. L’ultimo ruggito lo sentimmo da Federico d’Aragona, che tuttavia preferirà Catania. La mancanza d’un degno governo sarà da allora l’atavico male. E così la più corposa radice che generò il luminoso Rinascimento italiano, radice che si chiama civiltà siciliana, cessò di vivere. L’Italia che stava bellamente fiorendo, finiva per offuscare la nostra identità con tutte le passate glorie di Palermo. E alle sperate albe seguirono gli insuccessi, è così che giungeste al secolo Millequattrocento e poi al Millecinquecento, voi palermitani. Poi ancora ai secoli Milleseicento e al Millesettecento, cominciati con opere imponenti, con la costruzione di ammirevoli chiese ed edifici degni d’una rinnovata capitale. Il leone ferito ruggiva ancora, ripetute rivolte e antiche brame egemoniche rinsanguavano Palermo, ma la Storia corteggiava ora il Nord. Il secolo Milleottocento vi vide traditi dai Savoia e da quel manigoldo Garibaldi che non merita le statue e l’intitolazione delle vostre vie e dei vostri teatri. Sconvolsero Palermo, razziarono le vostre banche, arrestarono, serrarono le porte alle ricche Corporazioni religiose che negli ultimi secoli avevano in ogni senso vivificato Palermo. Si reagì con il brigantaggio, che gli storici la diedero a bere come fenomeno d’un popolo selvaggio e indomabile, restio alla civiltà che i nuovi invasori volevano imporre. Noi siciliani rivolevamo la nostra sacrosanta Libertà, dovevamo riprenderci il nostro sacrosanto amor proprio, questo volevamo, nient’altro! Il grido di dolore irrobustì le ultime energie, ma furono veramente le ultime energie. Si presentò Palermo in una rinnovata veste, vie ed edifici eleganti, e un teatro che doveva essere più grande e più bello del San Carlo di Napoli. Tanta bellezza invitò i letterati e gli uomini più illustri al Gran Tour della Belle Époque. Poi giunse l’agonia, il disincanto che assale, la criminalità che ancora avvolge; gli ultimi respiri di una sfigurata capitale.
Ora si è ad un bivio. Palermo deve riprendersi il futuro, farlo è vostro dovere. Ma, per riprendervi il futuro, è necessario rivedere la Storia. E mi chiedo come meglio potrete riprendervi, se in troppi di voi non sanno cosa è stata Palermo? Il 13 settembre 2024, nel Castello di Carini, proverò a dar battaglia. Vi dirò di più di quel che ho fin qui vergato, cosa è stata realmente Palermo. Perché non tutto può cominciare e finire al Nord, o magari concludersi a Napoli.
Bartolomeo Massimo D’Azeglio