Nella conferenza stampa del 7 luglio scorso, presentando il “DL semplificazioni” il Presidente del Consiglio Conte, che già in passato aveva definito il Ponte sullo Stretto “opera immaginifica”, a precisa domanda sulla realizzazione di questa controversa opera ha risposto che “…questo governo si preoccupa delle infrastrutture a terra. Poi, se ci saranno problemi di collegamento, li affronteremo a tempo debito.”

 

Ascoltando queste parole, sono rimasto non tanto sorpreso (ne ho sentite tante..) ma, piuttosto, dubbioso. Ad esempio, sulla possibilità che i libri di testo faticosamente consultati per conseguire la laurea in Ingegneria civile fossero farlocchi; ed incompetenti i professori che li avevano scelti. Poi, pesando ai responsabili della comunicazione di Palazzo Chigi, ho tirato un respiro di sollievo. Ma altri dubbi continuavano a tormentarmi.

 

Se il Ponte non è un’infrastruttura a terra, che cos’è? Un’infrastruttura navale? Aerea? Marina? Non saprei rispondere. Ad ogni modo, qualunque sia il tipo di infrastruttura, perché non ritenerla degna di considerazione, preferendo dedicarsi alle “infrastrutture di terra”? Per rimanere, appunto, con i piedi per terra, e non pensare ad opere “immaginifiche”? Potrebbe essere la spiegazione più valida, pensando alla precedente esternazione sullo stesso argomento. Varrebbe la pena approfondire anche il condizionale del Premier sui problemi di collegamento, dal momento che, senza Ponte, fra le due sponde dello Stretto ce ne risulta già qualcuno. Quale “tempo debito” dovremmo aspettare per affrontarlo?

 

Argomento ostico, quello del Ponte, per il governo, che sembra proprio esserne infastidito, in tutte le sue componenti. La ministra De Micheli chiede analisi costi/benefici un giorno si e l’altro pure, anche se già ci sono, all’interno di un progetto definitivo e di un contratto già siglato. Il viceministro Cancelleri preferirebbe addirittura un tunnel, che sarebbe meno sicuro, più costoso, lascerebbe sui traghetti auto e camion e richiederebbe altri 20 anni di progettazione. Per rincarare la dose ha sentenziato che il Ponte è “ingegneristicamente irrealizzabile” smentendo gli estensori del progetto e delle sopra citate analisi, nonché i componenti degli organismi che li hanno approvati e che avrebbero qualche titolo in più di lui per esternare giudizi tecnici così drastici.

 

Perché tutto questo? Non sarà che, semplicemente, questo governo del Ponte non ne vuole proprio sentire parlare? Allora, onestà per onestà (parola che in passato abbiamo sentito pronunciare spesso dagli stessi soggetti oggi al governo) perché non dirlo? Parlare chiaro ai cittadini, ed in particolare a quelli meridionali non sarebbe più corretto, piuttosto che arrampicarsi sugli specchi sostenendo tesi improbabili e, spesso, offensive per l’intelligenza di chi legge?

 

Certo, ci sono in ballo tanti voti e la possibilità di mantenere il proprio scranno, quindi occorre andarci cauti con le brutte notizie. Ma prima o poi, alla fine di questa campagna elettorale permanente che è diventata la politica italiana, occorrerà rendere conto agli stessi elettori. In primis dell’arretratezza della Sicilia e del meridione tutto, che continuerà ad aumentare in valore assoluto, ma ancor più in termini relativi rispetto ad un nord che può già contare su alta velocità (quella vera, a 350 km/h, non quella farlocca a 160 km/h prevista al sud), Terzi valichi, Gronde, pedemontane, BREBEMI: fondamentali infrastrutture a cui presto se ne affiancheranno altre, come l’irrinunciabile autostrada Cispadana o il raddoppio ferroviario Codogno-Mantova. A proposito, che fine ha fatto il raddoppio Palermo-Messina (città un po’ piu popolose di Codogno e Mantova) che, a differenza del Ponte, dovrebbe rientrare nelle “infrastrutture di terra” e, quindi, possedere i requisiti minimi per essere favorevolmente accolta tra le priorità del governo?

 

Tutto questo mentre centinaia di migliaia di meridionali, tra i quali molti elettori degli attuali governanti, continuano a lasciare la propria terra; magari via aerea, pagando biglietti salatissimi ad Alitalia, salvata a suon di miliardi pubblici, tirati fuori anche dalle loro tasche. Alla faccia della carenza di fondi, causa principale della mancata realizzazione del Ponte, fino all’emergenza COVID. Da quando, con il Recovery fund, questa scusa ha perso qualsiasi credibilità, occorreva inventarsi dell’altro: ecco spiegato il campionario di problematiche che, tra terra e cielo, analisi costi/benefici e tunnel sopra o sotto l’alveo, continua ad alimentare l’inutile dibattito su questa fondamentale opera pubblica.

 

In un paese normale, per certi argomenti si lascerebbe la parola agli esperti, per consigliare i “decisori”: politici che dovrebbero a rispondere al proprio elettorato con i fatti, più che con le parole. Cosa altamente improbabile nell’epoca dei social e dei sondaggi, in cui bastano pochi tweet ben studiati per guadagnare decine di migliaia di voti. Attingendo alla indispensabile consulenza degli esperti di comunicazione, magari reduci del “Grande fratello”.