Con le solite argomentazioni ormai ripetute, come un disco rotto da decenni, Legambiente continua, con una foga degna di miglior causa, la lotta senza quartiere contro il Ponte sullo Stretto. E lo fa con una dichiarazione pubblica firmata dal presidente nazionale e dai presidenti regionali di Sicilia e Calabria, rivolta al neo Presidente del Consiglio Mario Draghi.
Chi dovrebbe difendere l’ambiente, e pone questa esigenza alla base della granitica convinzione anti-ponte, dimentica però l’enorme quantità di inquinanti emessi dalle navi traghetto ogni anno. Sostanze che il Ponte ridurrebbe drasticamente: quasi 160.000 tonnellate di CO2 e svariate migliaia di tonnellate di polveri sottili ed ossidi di azoto in meno ogni anno, secondo uno studio commissionato dal Rotary Club, redatto dagli ingg. Giovanni Mollica e Nino Musca.
Benefici accertati che si aggiungono ad un’altra enorme opportunità che ci offrirebbe il Ponte: il trasferimento su ferro del trasporto di merci e persone che, oggi, utilizzano la gomma. Quanto verificatosi nel resto d’Europa, dove gli ambientalisti hanno ben altro spessore e lungimiranza, dimostra senza ombra di dubbio che la riduzione delle emissioni in conseguenza della realizzazione del Ponte sarebbe incalcolabile. Tant’è che la stessa UE ci obbliga ad incrementare fino al 30% la quota di merci trasportate su ferro entro il 2030, pena multe salatissime quanto certe, in assenza di un collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente: la “rottura di carico” del traghettamento rende improponibile qualsiasi confronto tra l’agile trasporto su gomma e quello, più rigido, su ferro.
Dettagli trascurabili, per Legambiente, preoccupata di salvaguardare le aree umide, invero peculiari. Tant’è che il progetto del Ponte, evidentemente ignorato da chi ha sottoscritto la dichiarazione di cui sopra, prevede raffinate tecnologie per salvaguardare i laghi costieri di capo Peloro: basti pensare che per non alterare lo scambio tra acqua dolce e acqua salata, lo scavo di fondazione della torre messinese sarebbe “impermeabilizzato” con azoto liquido, mettendo in campo una tecnica mai adottata dalle nostre parti.
Cosa dire, allora, della fauna marina, citata nella loro dichiarazione dai responsabili Legambiente? Se è vero che i piloni del Ponte sorgerebbero sulla terraferma, per una precisa scelta tecnica volta ad evitare l’esecuzione di opere a mare, è anche vero, secondo sedicenti esperti di cetacei, che l’ombra del Ponte spaventerebbe le balene di passaggio, al punto da farle tornare indietro nel loro viaggio stagionale dallo Ionio al Tirreno o viceversa. Meglio evitare loro questo fastidio, lasciandole libere di farsi disorientare dal rumore delle eliche dei traghetti, per poi spiaggiarsi regolarmente sulle coste di Sicilia e Calabria.
Tesi pittoresche che si aggiungono a quanto seriamente sostenuto da altrettanto sedicenti ornitologi, a proposito degli uccelli migratori, che verrebbero disorientati dalle imponenti torri di sostegno della maledetta infrastruttura e destinati, anch’essi, a rinunciare alla loro rotta migratoria preferita. La quale, manco a dirlo, passa proprio sopra i piloni del Ponte.
Sono proprio finiti i tempi in cui, in Italia, personaggi come Folco Quilici professavano un ambientalismo intelligente, senza paraocchi e pregiudizi. Un amore per la natura attento all’effettivo equilibrio tra salvaguardia dell’ambiente e sacrosante esigenze di sviluppo. Un atteggiamento che, in Europa, si è affermato da un pezzo. In Italia siamo ancora all’ambientalismo del “no” aprioristico; sordo, inerziale e, alla lunga, suicida.