Bocciato in Consiglio il mutuo proposto dalla Giunta Orlando per le opere di completamento del sistema tramviario di Palermo, va emergendo, presso gli osservatori più attenti, la consapevolezza che il sistema tramviario di Palermo ha comportato – e ancora di più comporterebbe – opere troppo dispendiose da gestire e da completare, sempre più elefantiache nelle nuove carte di progetto, e sempre più controverse per le conseguenze del loro incunearsi nel cuore di una città delicata e troppo angusta per la portata di quei mezzi. Fin adesso ne sono usciti massacrati l’asse Notarbartolo-Da Vinci e le strade contigue, e sono in predicato di esserlo anche le vie Roma e Libertà.
Lasciando da parte dettagli anche di peso, come le questioni finanziarie coinvolte, ciò che mi preme è considerare il complesso della mobilità di Palermo nel suo rapporto di coerenze con un inquadramento territoriale ampio, fin adesso purtroppo indisponibile. Teresa Cannarozzo ha osservato su “la Repubblica-Palermo” che, per il peso del pendolarismo ferroviario verso l’università e gli ospedali non tanto è prioritaria una linea – il tram – lungo l’asse Stazione Centrale-Stadio, quanto una a servizio della direttrice Stazione-Calatafimi. Tale direttrice è importante, ma lungo di essa, tra il complesso monumentale di S. Antonino e il portale monumentale di via Maqueda, c’è una strettoia. Come farle sopportare “quel” tram, dall’evocativo marchio “Bombardier”?
E come far fronte alle conseguenze? Perché qui sta uno dei nodi: quello che riguarda il metodo del progetto. Esso dovrebbe sempre coinvolgere il dettaglio, nella sua accuratezza, e il sistema, nella sua coerenza: non l’uno prima dell’altro, ma entrambi allo stesso tempo, osservati contemporaneamente al microscopio come al grandangolo. Nel mettere la sordina all’asse Ferrovia-Stadio, Cannarozzo ha sottolineato il ruolo della Stazione Centrale quale testa di una linea tramviaria per le vie Tüköry (ospedali), Basile (università) e corso Calatafimi. A parte il nodo di S. Antonino, il ragionamento filerebbe. Chiedo però: siamo certi che quella Stazione debba ancora persistere con la stessa funzione e la stessa collocazione di metà ‘800? In altri termini, non ci sarebbe un modo, altro e migliore, per entrare oggi a Palermo? E un modo migliore per uscirne?
Anche se fin adesso generalmente ignorata, la questione – già posta dalle Ferrovie in passato – oggi non si può più eludere, perché la risposta è dirimente rispetto a tante altre questioni, di dettaglio e di sistema, fin adesso credute solo “interne” alla città. Palermo si è sempre vista come una “città-perla”, racchiusa nella sua conchiglia dorata, autosufficiente per acque e frutti della terra; o come “città-tutta-porto”, legata al mondo solo per via di mare; o come “città murata”, divenuta la “città-stato” del discusso convegno del 1997 (p. Ennio Pintacuda); o ancora come città che si specchia nel suo ombelico, i “Quattro-Canti”, e si concentra sulla sua “croce di strade”: anche se preziosa, questa visione di sé costituisce per Palermo un’eredità oggi ingombrante, quasi una sindrome da monade autistica, che le impedisce di interpretare in modo territorialmente e urbanisticamente adeguato il ruolo di capitale di una regione non qualunque, che per la parte maggiore si stende a sud-est delle sue “mura”.
Non si entra bene a Palermo, né per ferro, né per gomma, e ancora più difficile è uscirne. Oggi la vera porta di Palermo non può che essere Brancaccio-Guadagna. Lì si sarebbe potuto e dovuto localizzare, in modo ottimale, il Centro Direzionale della Regione, ormai relegato in via La Malfa, ed è lì che può ancora attestarsi, in capo alla via Oreto, il terminale di un trasporto pubblico urbano capace di accogliere le pendenze regionali più cospicue, ferroviarie e autostradali, in un esteso nodo di scambio intermodale: partendosi da lì, una Metropolitana Automatica Leggera innerverebbe l’asse urbano nord-sud, e incrocerebbe subito il “Passante” per Notarbartolo con una fermata di scambio alla Guadagna (la Stazione Centrale si potrebbe allora abolire, destinandone i fabbricati a nuove funzioni di rango superiore) mentre più in là essa incrocerebbe l’Anello ferroviario con due altri nodi di scambio.
Attestandosi a questo “nervo” nord-sud, in punteggiata lungo il suo sviluppo, dei bus elettrici a basso inquinamento (solo 6,9 kg di CO2 per 100 passeggeri) integrerebbero il sistema, facendo la spola verso mare e verso monte. E il tram? Da salvare quello lungo la Circonvallazione e, con varianti a piazza Scaffa, il collegamento con la periferia sud.
[08 gennaio 2021]
NOTA
L’immagine, esemplificativa delle soluzioni proposte nel post, è tratta dal libro: Marcello Panzarella, “Verso una Capitale. La città che manca. un progetto per Palermo Sud-Est”, Palermo 2019.