Molti si chiedono quali siano i motivi del mancato finanziamento delle linee tranviarie inserite nell’avviso numero 1 del Ministero Infrastrutture e Trasporti. Non sappiamo rispondere con esattezza a questa domanda, in quanto gli atti non sono ancora disponibili al pubblico. Tuttavia possiamo avanzare alcune ipotesi e dedurre alcune conclusioni sulla base di quanto si legge nel Decreto 11/ 12/2019 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e del Regolamento per la redazione dei documenti da allegare alla richiesta di finanziamento.

 

Il Decreto, infatti, ha finanziato subito 17 progetti (inseriti nella tabella 1) e dato la possibilità a quelli esclusi dal finanziamento, che sono altri 11 (elencati in tabella 2) fra cui quelli relativi a Palermo, di presentare nuova documentazione entro il 30/04/2020 per accedere, se considerati finanziabili, ad ulteriori 1,3 miliardi individuati in una nuova fonte di finanziamento. Di questi undici progetti, però, due (linea tranviaria Roma-Giardinetti e TRC di Rimini) sono già stati ammessi a finanziamento in sede di istruttoria, ma rimandati anch’essi al 30/04/2020 per prescrizioni; d’altronde, non ci sarebbero stati fondi sufficienti per finanziarli, ammontando la relativa spesa a 150 milioni complessivi ed essendosi esauriti 2,3 miliardi disponibili. Ciò significa che i due progetti, tra gli undici “rimandati”, si trovano in condizioni migliori per l’accesso al finanziamento, in quanto hanno già passato positivamente la prima selezione, mentre tutti gli altri sono stati direttamente esclusi già in prima battuta, ovvero nell’ambito della prima fase selettiva conclusasi in agosto. Fra questi, ricordiamolo, si trova il progetto delle linee tranviarie di Palermo. Pertanto, i 1.330 milioni disponibili vedranno questa richiesta tutt’altro che in “pole position”, insieme ad agguerritissimi avversari, come Genova (progetto filobus da 650 milioni), Napoli e Brescia.

 

Questa la situazione, ad oggi. A questo punto, ci domandiamo: nel merito tecnico, cosa potrebbe non aver funzionato? Facciamo le nostre ipotesi, che tali rimangono ma che, a nostro sommesso avviso, si avvicinano molto alla realtà.

A giudicare dalla posizione arretrata della “graduatoria” del MIT, qualcosa in più che qualche dettaglio. Per comprenderlo, occorre studiare con molta scrupolosità il regolamento ed le successive precisazioni (i cosiddetti “addendum”): vale la pena rammentare che l’avviso del MIT è stato dotato di allegati tecnici molto esigenti e rigorosi, che mettono al primo posto la sostenibilità dell’intervento, ECONOMICA ED AMBIENTALE: tale requisito deve essere posseduto dall’opera in maniera superiore a qualsiasi altra soluzione alternativa. In pratica, occorreva effettuare uno studio comparato tra il sistema proposto e tutte le possibili alternative, compilando schede tecniche di confronto molto complesse e severe.

 

Ad esempio, la documentazione richiesta doveva comprovare la presenza di una domanda adeguata al costo del sistema su tutte le linee proposte, tanto da dimostrare la convenienza del sistema da finanziare, in termini di sostenibilità, mediante una ”analisi comparata” tabellare con altri sistemi alternativi, come bus elettrici, filovie, cabinovie, piste ciclabili etc. Una verifica che avrebbe coinvolto anche le linee E2 e G, a servizio, rispettivamente, di Mondello e Sferracavallo. Le borgate, però, sono caratterizzate da flussi stagionali, che, estate a parte, riguardano poche migliaia di persone al giorno. Secondo alcuni studi recentissimi e piuttosto autorevoli (sito web Cityrailways https://cityrailways.com/la-fase-2-del-tram-di-palermo/) su queste tratte non si stimano più di 300/500 passeggeri nell’ora di punta, ovvero una domanda facilmente smaltibile con 1 bus da 12 metri ogni 20 minuti… Altro che tram! Se pensiamo che le linee sono lunghe rispettivamente 6 e 3,2 km, come faranno i tecnici comunali a dimostrare la maggiore sostenibilità del sistema tram rispetto ad alternative più a buon mercato, sapendo che i costi di costruzione sono stimabili in oltre 100 milioni € e quelli di gestione, in fase di esercizio, nell’ordine di 3-4 milioni €/anno? Con una domanda facilmente alla portata di semplici linee bus, che hanno costi di costruzione nulli e costi di gestione pari, al massimo, ad un quarto?

 

Altro problema: il sistema dovrebbe essere “catenaryfree”, ovvero alimentato senza catenaria, tramite batterie. Un metodo di alimentazione pressoché sperimentale, attualmente gravato da notevoli incognite, di costi ma anche di sostenibilità ambientale. Basti pensare che le batterie, rispetto all’alimentazione “tradizionale” con linea aerea di contatto, comportano maggiori consumi energetici nell’ordine del 60%: ciò significa che il sistema che si va ad utilizzare in tutte le linee in estensione sarà molto più costoso, in termini energetici, e meno ecosostenibile di quello attuale, in quanto alla maggiore energia consumata corrisponde una altrettanto maggiore emissione di CO2 nell’ambiente per la provenienza della stessa. Non è certo un caso che questo sistema, finora, non abbia trovato larga diffusione nelle reti tranviarie esistenti al mondo, tranne poche tratte di lunghezza limitata. Senza contare le difficoltà manutentive di dispositivi tecnologici così innovativi e complessi: l’alimentazione, infatti, avviene in alcune fermate mediante sistemi ad induzione elettromagnetica inseriti tra le rotaie che agiscono sulle batterie a distanza durante la sosta del convoglio. I pezzi di ricambio, naturalmente, dovrebbero essere acquistati dal produttore proprietario del sistema, pertanto in condizioni di sostanziale monopolio che renderebbero impensabili i ribassi sui prezzi nell’ambito di un appalto.

 

Ma c’è di più: la presenza di “terre rare” tra i materiali utilizzati per le batterie agli ioni di litio: materiali che hanno un costo elevato, ed un analogo elevato costo ambientale dello smaltimento, perché una terra rara è anche pesantemente inquinante. Un problema serio, serissimo per la documentazione da produrre, che si basa, lo ripetiamo, proprio sulla sostenibilità dei sistemi di trasporto di cui si richiede il finanziamento.

 

I nostri sospetti, relativamente agli argomenti sopra accennati, sono confermati da un dato inoppugnabile: il progetto presentato da Palermo è stato scartato già dopo il primo esame, conclusosi il 9 agosto scorso, proprio perché carente di requisiti essenziali. Quelli sopra ipotizzati lo sono senza alcun dubbio.

 

Riepilogando, se abbiamo visto giusto, le maggiori criticità dei progetti dell’estensione tranviaria, linee D, E, F e G sarebbero le seguenti:

 
  1. Sulle linee E2 e sulla G, a servizio, rispettivamente, di Mondello e Sferracavallo, l’utenza prevista non giustifica la spesa, rendendo concorrenziali semplici linee di bus, magari elettrici.

  2. Il sistema “catenaryfree”, a batterie, comporta maggiori consumi energetici nell’ordine del 60% rispetto alla tradizionale catenaria.

  3. Le batterie agli ioni di litio sono costituite da materiale pesantemente inquinante e difficili da smaltire: si tratta delle cosiddette “terre rare”.

  4. Il sistema di alimentazione delle batterie, con ricarica “a induzione” dal basso in corrispondenza delle fermate, presenta una maggiore complessità da gestire.

  5. L’approvvigionamento dei pezzi di ricambio di questo sistema a ricarica senza catenaria, scontando un regime di sostanziale monopolio, comporterebbe costi senz’altro notevoli e difficilmente stimabili.

 

Per ottenere il finanziamento, si dovrebbe negare l’esistenza di questi problemi, o quanto meno dimostrare la convenienza del tram nonostante la loro esistenza. A partire, ovviamente, dalla stima di almeno 2400 pax/h in linee dove ne sono stati calcolati 8 volte meno.