PNRR, ALLARMI E TIMORI. MA NON ERA TUTTO PREVEDIBILE?
Per il PNRR si moltiplicano allarmi e timori. Nel 2021 si è spesa soltanto una parte molto piccola di quanto si sarebbe dovuto spendere, cronoprogramma alla mano: soltanto 1,2 miliardi sui 13,7 previsti!
Non è andato meglio l’anno successivo, se è vero che a marzo 2023 per il programma europeo di “ripresa e resilienza”, i fondi assegnati all’Italia erano stati spesi, come riportato da “Il Sole 24 Ore”, soltanto per il 12 %: la metà di quanto previsto.
Pochi giorni fa, i Comuni, assegnatari, sempre a marzo scorso, di 34,1 miliardi di euro,( il 36,2% localizzato al Nord, il 18,9% al Centro ed il 44,9% al Mezzogiorno ) hanno fatto sentire la loro voce, dopo aver appreso che parte di quelle somme, nella nuova distribuzione delle risorse PNRR, sarebbero state revocate perché sarebbe impossibile completare i relativi interventi entro la data di scadenza del Piano: 30 giugno 2026. Il timore, non da poco, è di doversi rendere responsabili della mancata copertura di opere promesse ai cittadini, programmate, progettate e, in parte persino appaltate!
Tolte del tutto, invece, le risorse PNRR ad alcune opere pubbliche preannunciate in pompa magna, come il raddoppio Roma-Pescara e l’asse AC Messina-Catania-Palermo. La cosa ha suscitato più di un allarme, soprattutto per quanto riguarda quest’ultima opera, già appaltata interamente e con 3 lotti su 8 in cui già si lavora. Ma niente paura: i fondi tolti dal PNRR saranno rimpiazzati da altre risorse, già individuate.
Resta da capire chi e perchè ha assegnato fondi che dovevano dare luogo ad opere in esercizio entro il 2026 quando gli stessi cronoprogrammi indicano il 2029.
In tutto questo, il governo sembra cercare una soluzione, spostando cabine di regia e prevedendo i necessari commissariamenti, sperando che serva a qualcosa.
Eppure, non era difficile prevedere la crisi di abbondanza derivante dall’iniezione di oltre 230 miliardi di euro da spendere in meno di sei anni, in un sistema che restituisce regolarmente all’Europa, da decenni, buona parte dei fondi Europei ad esso destinati.
Tanto per fare un esempio, i Fondi di coesione per il 2014-20 sono stati spesi, fino a tutto il 2022, soltanto per un ammontare di 36 su 116 miliardi: una percentuale del 32%, ben al di sotto della media italiana, che è del 55% del programmato, contro una media europea del 69%.
Proprio un anno fa, alla luce dei primi risultati tangibili del PNRR, abbiamo detto la nostra, prevedendo quello che, puntualmente, si sta verificando. Anzi, forse eravamo stati ottimisti.


Non tralasciammo, in quell’occasione, la mancanza di una visione complessiva che leghi insieme i diversi interventi creando una programmazione minimamente credibile. Programmazione che non c’era e non c’è: l’unico fattore comune degli interventi, almeno per quanto concerne le Opere Pubbliche, sembra essere l’appaltabilità. Un requisito che rendeva necessario raccattare tutto quanto fosse dotato di un progetto esecutivo approvato e, quindi, cantierabile. Con il risultato, fin troppo prevedibile, di perdere la visione d’insieme del Piano che, a voler essere ottimisti, appare più un raggruppamento scomposto di interventi, più o meno utili, che il frutto di una reale programmazione.
Ma soprattutto, in quell’occasione, sottolineammo come l’incapacità di spendere delle amministrazioni italiane, avrebbe gravemente nuociuto ai termini troppo ravvicinati del PNRR, e come fossero necessarie strutture ad hoc con poteri di tipo commissariale in grado di velocizzare realmente l’attuazione dei procedimenti.
Uno sproposito, senza alcun dubbio, assegnare ai 36 per cento delle risorse del PNRR A Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane o altre amministrazioni locali. Sapendo, proprio sulla scorta dei precedenti relativi ai fondi di Coesione, che questi ultimi, soprattutto a sud, arrancano persino quando si tratta di progettare un asilo nido o una pista ciclabile. Senza progettisti e funzionari in grado di assolvere al meglio i ruoli previsti dal nuovo codice, da quello gravosissimo di Responsabile del Procedimento ai vari Coordinatori per la sicurezza, non potevamo certo aspettarci sorte migliore per i procedimenti a loro carico, come i fatti prima accennati dimostrano in maniera lampante.
Dal canto loro, i rappresentanti degli Enti locali, lungi dal fare l’unica cosa sensata, ovvero chiedere di affidare gli interventi ad organismi in grado di progettare , affidare e gestire l’esecuzioni delle opere, essendo già gravati dalla improba opera dell’ordinaria amministrazione, protestano invece sotto la minaccia di vedersi togliere somme che non potranno mai spendere.
Il frutto di una politica miope che vede sempre il proprio personale, immediato interesse anteporsi a quello collettivo, e che spinge a rimanere aggrappati alla piccola fetta di potere, ancorchè effimera, piuttosto che demandarla a chi può. Ammesso che quest’ultimo esista.
Sarebbe, infatti, in grado il governo centrale di attivare le necessarie strutture tecniche in grado di supportare una tale mole di spesa da “mettere a terra” come si suol dire? Ne dubitiamo. Se Comuni e regioni piangono, non è che i vari Ministeri ridano. Assumere e formare giovani tecnici per affidare loro questo compito, senza nessuna conoscenza della macchina amministrativa è impensabile.
Bisognava muoversi molto, molto prima. E non doveva certo farlo l’attuale governo che avrà i suoi limiti ma che eredita una situazione a dir poco imbarazzante. Ma, a pensarci bene, neanche i vicini predecessori: il problema è vecchio come l’amministrazione pubblica italiana.
Priva com’è di una Scuola specifica (guarda caso esistente nei Paesi più industrializzati ed efficienti) e, soprattutto, piena di raccomandati e portatori di voti, nulla nella nostra P.A. può far pensare a qualcosa in grado di potare avanti più dell’ordinaria amministrazione. E ciò è tanto più vero quanto più ci spostiamo a sud, dove nessuna attenzione è stata rivolta all’efficienza di un sistema che, se ben organizzato, può essere il volano più formidabile per lo sviluppo di un territorio. Che poi è proprio l’obiettivo del PNRR.
Affidare il successo del Piano, ovvero il riequilibrio fra le regioni del Bel Paese, proprio al sintomo più evidente di tale squilibrio, è un errore grave e, forse, epocale.

