INIZIA CON LA PRIMA PARTE LA STORIA IN 3 PUNTATE DEL PONTE CORLEONE, CON IL RESOCONTO DI RELAZIONI, SOPRALLUOGHI, VERIFICHE E LE VARIE DIMENTICANZE CHE CI HANNO CONDOTTO ALLA TRISTE ATTUALITA’
PREMESSA
La storia del Ponte Corleone è vecchia come la circonvallazione di Palermo. Strada nata per aggirare un piccolo centro urbano, rimanendo ben alla larga da esso, e finita per essere conglobata in una delle più dense e meno infrastrutturata metropoli d’Italia.
Negli anni ’50, quando questa strada fu progettata, nessuno pensò all’espansione che proprio in quegli anni nasceva nella città capoluogo di regione, anche a causa di questo suo ruolo. Una città terziaria, che avrebbe visto negli uffici pubblici la sua principale fonte di reddito, attraendo dalle province circostanti decine di migliaia di nuovi abitanti. Il che diede la stura all’arcinoto “sacco “ di Palermo, ovvero ad una speculazione edilizia invero molto simile a quella verificatasi in tutte le principali città del mondo nel dopoguerra. Ma che a Palermo lascerà poco spazio al verde in quella Conca d’Oro che appariva come un paradiso ai visitatori stranieri, dominata dal “promontorio più bello del mondo” come definì Monte Pellegrino uno che il mondo lo aveva girato per davvero: il tedesco Goethe.
Meno prosaicamente, la circonvallazione risolveva il problema dell’aggiramento di questa città con una sola carreggiata, da Brancaccio a Tommaso Natale, da trasformare in due e poi in quattro con comodo: con tutto quello spazio, non sarebbe stato un problema.
L’opera più importante all’interno del tracciato era e rimane il ponte che scavalca la profonda incisione del fiume Oreto lungo la piana della conca d’Oro. Realizzata, magnanimamente per il tempo, a due carreggiate. Non una, grazie al cielo, ma neanche quattro, come lungimiranza avrebbe dettato.
Ma erano tempi di incredibile frugalità nel settore delle opere pubbliche, pari soltanto alla bulimia di nuovi edifici per abitazioni. Pertanto, mentre la città cresceva a dismisura, si realizzava, oltre all’unica carreggiata di quello che vene battezzato viale Regione siciliana, un interramento della ferrovia Palermo-Trapani a binario unico non elettrificato, nessuna infrastruttura di trasporto pubblico metropolitano, pochi ed insufficienti collettori fognari, impianti sportivi e parchi pubblici con il contagocce. Insomma, si disegnava la Palermo attuale. Povera di infrastrutture ma ricca, ricchissima di edifici dai costosi appartamenti; molti, a dire il vero, di ottima fattura, dal punto di vista squisitamente architettonico.
Il Ponte, inaugurato nel 1962, svolgeva quindi egregiamente la sua funzione, ance durante i lunghi lavori di quadruplicamento della carreggiata, iniziati nei primi anni ‘80 e, di fatto, non ancora conclusi. All’appello mancano, infatti, un paio di svincoli, all’altezza di via Oreto e via Perpignano (QUI nostro reportage), e proprio il Ponte Corleone.
Opere stralciate per varie vicissitudini dai lavori, che prevedevano tre lotti principali (via Giafar-via Altofonte, via Altofonte-via Belgio, via Belgio-Tommaso Natale) oltre alla sopraelevata che avrebbe dovuto correre su un viadotto realizzato al di sopra della circonvallazione, tra via Altofonte e via Trabucco. Opera in parte realizzate, come testimoniano i monconi presenti, in più punti, lungo lo spartitraffico dell’attuale circonvallazione, ma mai ultimata per motivi di “impatto ambientale” scoperti a lavori in corso. Anche questa non è una novità per Palermo.
Ma torniamo al Ponte Corleone. Un’opera ingegneristica di grande impegno, appartenente alla famiglia dei ponti ad arco in calcestruzzo armato, tanto in auge in quel periodo: in questo caso, le carreggiate poggiano su due distinti ponti ad arco.
Ne erano stati realizzati parecchi sull’autostrada del Sole per scavalcare l’Appennino tosco-emiliano, così come molti in diverse città per attraversare profonde vallate: ne troviamo esempi a Ragusa, a Porto Empedocle ma anche a Catanzaro, con la firma del celebre Morandi. Ma come insegna la rovinosa fine della più famosa creazione di quest’ultimo, si tratta di opere ardite, ma delicate. Necessitano di manutenzione continua (ordinaria) ma anche di interventi straordinari atti, di tanto in tanto, a sostituire o ripristinare le parti ammalorate; perché il tempo non fa sconti, né agli umani né tento meno alle opere d’arte (ingegneristiche).


LO STUDIO DEL PROF. ARICI (2002)
I primi problemi, per il ponte Corleone, vengono evidenziati negli anni Novanta, dopo oltre 30 anni di onorata attività e di scarsa, se non del tutto assente , manutenzione. Ci si accorge del problema proprio in occasione dei lavori di quadruplicamento, che in quel punto vengono stralciati, per essere successivamente affidati ad altra impresa con nuovo appalto. Ma, prima del nuovo appalto, nel 2002, venne affidato, dall’Ufficio Infrastrutture del Comune, uno studio all’Università di Palermo, per verificare le condizioni manutentive del ponte. A capo del team di esperti dell’Università vi era il prof. Marcello Arici, un’autorità nel settore, progettista di diverse ardite strutture tra le quali, ad esempio, la copertura del velodromo dello ZEN, poi intitolato a Paolo Borsellino.
Le risultanze furono a dir poco allarmanti, al punto da richiedere un intervento urgente per evitare il crollo, almeno parziale, della struttura. In particolare, veniva subito individuato il principale nemico del ponte: l’acqua. Elemento innocuo de preso a piccole dosi, disastroso se per anni, anzi decenni, viene messo nelle condizioni di accedere a tutte la parti di una struttura in cemento armato.
In realtà, l’opera avrebbe dovuto essere dotata di un sistema efficiente di allontanamento delle acque meteoriche, ma quello che si scopri fu, semplicemente, la presenza di fori sulla soletta, attraverso i quali l’acqua veniva allontanata dalle carreggiate. Ma, da qui, essa finiva per irrorare la struttura sottostante, compresi l’intradosso della soletta, i pilastrini di sostegno dell’impalcato e gli stessi archi portanti.
Il guaio peggiore accertato dai tecnici fu quello alle cosiddette “travi tampone”, sulle quali era necessario intervenire subito. Per comprendere la funzione di queste sottostrutture del ponte, occorre considerare che esso è diviso in tre parti: una centrale, sostenuta dal grande arco, e due laterali, sostenute da pilastri fondati direttamente sul terreno. Queste tre parti sono collegate da due gruppi di travi, appoggiate da una parte alla campata sorretta da archi, dall’altra alla campata sorretta da pilastri.


In sostanza, si tratta di travi in cemento armato che somigliano molto ad alcune strutture del ponte Morandi di Genova. In quella struttura, tra le campate sostenute con stralli dai piloni, erano interposte delle travi di collegamento, la cui funzione, sostanzialmente non strutturale, garantiva la continuità delle campate.
In corrispondenza di queste travi, sul Ponte Corleone, si prescrisse l’immediato intervento, dato che si era registrata una preoccupante riduzione dell’appoggio, corroso dal tempo. In poche parole, tali travi rischiavano di perdere il punto d’appoggio, corroso da oltre 40 anni di agenti atmosferici, e precipitare nel vuoto. Basti pensare che tali appoggi dagli originari 60 cm si erano ridotti a soli 10 cm. In quel caso si intervenne tempestivamente: vennero affidati dei lavori di somma urgenza per la realizzazione di 4 protesi metalliche sotto le travi tampone, in modo da ripristinare l’appoggio. Si fecero anche quattro passerelle sotto le travi per consentire il controllo di queste protesi metalliche.
Rimediato a questo inconveniente, il team del prof. Arici suggerì anche un intervento propedeutico a futuri, necessari interventi di manutenzione, segnatamente ai giunti di collegamento tra le travi tampone e le altre parti dell’impalcato. Ma tali interventi non furono effettuati soltanto l’anno scorso, dopo la bellezza di 19 anni . Le stesse passerelle non sono mai state utilizzate ed il tempo ha interessato anche loro, che non sono più praticabili. Nel frattempo nulla è stato fatto, se non altre relazioni ed indagini varie alla struttura, senza alcun seguito.
fine prima parte – continua nella SECONDA PARTE