RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO VOLENTIERI L’INTERVENTO DEL GIORNALISTA MESSINESE FABIO BONASERA, A PROPOSITO DEL PONTE SULLO STRETTO E DI CIO’ CHE POTREBBE SIGNIFICARE PER LA SICILIA, DOPO DECENNI DI ILLUSIONI.


PONTE SULLO STRETTO, ULTIMA SPERANZA PER LA SICILIA

di Fabio Bonasera

La legge speciale che prevede la realizzazione di un collegamento stabile sullo Stretto di Messina ha, ahimè, la mia stessa età: 52 anni. Ho ricordo dello stucchevole dibattito sulla sua utilità o la sua dannosità sin da quando ho raggiunto l’età della ragione (non l’anno scorso, malpensanti).

Dopo la caducazione della concessione affidata alla società Stretto di Messina, operata dal governo Monti, nel 2012, sono stato per diversi anni l’unico giornalista messinese, e sfido chiunque a dimostrare il contrario, a battersi per la realizzazione del ponte. L’ho fatto su varie testate: Meridionews, il Quotidiano di Sicilia, l’Eco del Sud. Chi volesse riprendere quegli articoli – tantissimi, in effetti – scoprirebbe che per lungo tempo ho raccontato il progetto che tutti i colleghi giornalisti, oggi, declamano come nuovo e innovativo.

Ma che, in realtà, esiste da almeno 13 anni. Sì, perché la versione definitiva risale a non più tardi del 2010 e la costruzione è già stata avviata nel 2009, con gli interventi propedeutici di Cannitello. Grazie all’amico Giovanni Mollica, eccezionale ingegnere e allora consulente di Eurolink, e agli altri indomiti di Rete civica per le infrastrutture, che mai si sono arresi alla cecità della politica, ho avuto modo di intervistare, non solo professionisti autorevoli del calibro di Ercole Incalza ed Enzo Siviero, ma addirittura gli stessi progettisti dell’opera, come l’ingegnere Alberto Zasso, del Politecnico di Milano.

Nella di cui galleria del vento è stato escogitato un modello assolutamente innovativo che consente la realizzazione del manufatto anche in un’area fortemente ventilata come quella dello Stretto. Lo hanno ribattezzato Messina Type. Lo hanno utilizzato ovunque, come testimonia il Canakkale Bridge, sui Dardanelli, tranne che a Messina. Il Ponte sullo Stretto, come illustrato proprio da Mollica, e dall’ingegnere Nino Musca, in un libro di qualche anno fa, è capace di abbattere drasticamente i gas serra sullo Stretto.

Inoltre, avrebbe ricadute economiche incalcolabili. Non solo per la manodopera impiegata nella costruzione. Riporterebbe la Sicilia, il Meridione, l’Italia al centro dei traffici commerciali del Mediterraneo e, addirittura, di quelli tra l’Europa e l’Asia, grazie all’alta velocità ferroviaria. Ciononostante, in tutti questi anni, abbiamo dovuto leggere le mistificazioni di chi, come sedicenti autorevoli giornali del calibro di la Repubblica e il Fatto Quotidiano, solo per citarne alcuni, raccontava tutt’altro che la verità sull’opera. Abbiamo dovuto sorbirci le bugie di illustri politici, a loro volta prodighi di fandonie.

Su tutti, Romano Prodi e lo stesso Mario Monti. Entrambi al soldo dei paesi leader dell’Unione europea – Germania e Olanda in primis – che con la costruzione del ponte perderebbero il primato dei loro porti (Amburgo e Rotterdam). Emblematico il caso di Prodi, favorevole all’opera sin dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando guidava l’Iri, e fulminato sulla via di Damasco, casualmente, dopo la sua presidenza della Commissione Ue, conclusasi nel 2004.

Abbiamo dovuto sopportare le amenità di ambientalisti della prima e dell’ultima ora, di improvvisati esperti di trasporti, che auspicavano modalità alternative meno invasive per collegare Messina alla Calabria, di novelli imprenditori e di immarcescibili tuttologi, intenti a raccontare che prima c’è altro da fare, che la Sicilia deve vivere di turismo e che il ponte deturpa il territorio.

Bene: per anni ho atteso che realizzassero tutto quel che prima c’era da fare. Ho atteso che proteggessero e valorizzassero il territorio. Ho atteso che il collegamento tra le sponde dello Stretto fosse efficiente. Ho atteso che il turismo (che senza adeguate infrastrutture è comunque un’utopia) avesse davvero slancio e i gravi problemi occupazionali fossero risolti. Com’è finita? Lo sapete tutti e la Sicilia, insieme ad altre regioni del Sud, è attualmente la zona più povera dell’Unione europea.

Tutti vorremmo preservare intatte le bellezze naturali della nostra e di qualunque altra terra. E molti di noi hanno atteso per decenni uno sviluppo ecosostenibile che ci tirasse fuori dalla grave depressione nella quale versiamo. Ma, chi di dovere, chi metteva ben altro prima del ponte, non ha fatto una beata cippa. Per questo ritengo che, al giorno d’oggi, l’unico strumento per portarci tutti fuori da questo progressivo degrado sia il Ponte sullo Stretto. Si tratta di un’opera dal potenziale smisurato, alla quale i suoi detrattori non hanno dato alternative.

Mi raccontano che in questi giorni il governo italiano si stia attivando per realizzarlo davvero. Ci avevano detto cose più o meno simili all’inizio del millennio. Spero sia davvero così. O, meglio, spero che, in questo o in qualunque altro modo, la mia terra possa uscire finalmente dall’inferno nel quale versa. Spero che non inizino i lavori per poi lasciarli in sospeso a tempo in determinato.

Spero e non posso fare altro che consegnare le mie speranze a questo social, considerato il mio esilio dorato da un giornalismo che, come mi confermano i colleghi che ancora resistono, non esiste più. E che, oggi, si sta finalmente accorgendo dell’importanza del ponte ma che, domani, temo, possa drasticamente virare, stuzzicato da chissà quale nuovo carro allegorico dei vincitori e dei vinti.