IL PROGRAMMA DI ALDO CAZZULLO AFFRONTA A MODO SUO LA SPEDIZIONE DEI MILLE, FRA OMISSIONI ED IMPRECISIONI… STORICHE!

UNA “GIORNATA PARTICOLARE” PIENA DI STORICHE CAZZULLATE

Qualche giorno fa ho assistito alla puntata del programma di Aldo Cazzullo “una giornata particolare” dedicato all’impresa dei Mille. La giornata, era quella del 11 maggio 1860, data dello sbarco a Marsala. Non potevo perdermelo, da siciliano ed appassionato di storia. Ma più che storia, mi è capitato di sentire delle “storie” e sempre le solite, quando si parla della più famosa delle imprese dell’”eroe dei due mondi”.

Si parte ovviamente da Caprera, dove Giuseppe Garibaldi si era ritirato approfittando della generosità di ignoti benefattori inglesi, che gli avevano regalato, per pura ammirazione, la metà dell’isola.  L’Eroe dei due mondi si stava riposando dopo le imprese della seconda guerra d’indipendenza, che aveva riunificato l’Italia del centro-nord sotto la monarchia dei Savoia, con l’annessione della Lombardia ed i successivi plebisciti delle province emiliane, romagnole e toscane.

Le prime cazzullate

Ed ecco subito la prima di una lunga serie di informazioni discutibili, se non platealmente false. Una di quelle che potremmo definire “cazzullate”, non nuove per chi conosce il noto giornalista piemontese, per l’occasione storico grazie alla consulenza di Carmine Pinto, uno che lo storico lo fa di professione. E meno male, chissà cosa avrebbe raccontato altrimenti.

Cazzullo, mostrando una cartina dell’Italia di allora, ci riferisce che nel 1859 Lombardia e Veneto erano le regioni più ricche d’Italia. Nulla di strano: se lo sono, indubbiamente, oggi, perché non dovevano esserlo 164 anni fa? Forse perché il Regno delle Due Sicilie, che possedeva la seconda flotta di Europa ed il complesso siderurgico di Pietrarsa, il più grande d’Italia, sfornava le locomotive che percorrevano le (poche) ferrovie esistenti da quelle parti, mentre a Napoli ci si muoveva su ferro già 20 anni prima? O perché l’industria del regno meridionale contava 2 milioni di occupati a fronte dei 400.000 della Lombardia, possedendo l’85% delle riserve auree di tutte le province? Aride cifre, che il giornalista non ritiene di riferire, preso com’era dalla sua foga patriottica, in salsa nordista.

A Nizza? No, a Palermo!

Ma torniamo a Garibaldi: recatosi a Genova, per arruolare volontari e marciare alla conquista di Nizza, appena ceduta ai francesi da Cavour, viene qui convinto da Francesco Crispi, che era stato esule a Londra, di marciare sulla Sicilia anziché sulla sua città natale. Troppo commoventi le richieste provenienti da Palermo e, si sa, l’eroe dei due monde era un romanticone. Ed in men che non si dica cambia subito destinazione, manco fosse sulla piattaforma di Ryanair alla ricerca della meta più conveniente per le vacanze: manda al diavolo i suoi concittadini per recarsi nella Palermo vessata da quel gran despota che era Franceschiello.

L’eroe dei due mondi, si sa, era altruista e disinteressato… Però non era l’unico, a quei tempi: pensate che il direttore della società armatoriale Rubattino, come ci racconta Cazzullo, assiste al “furto” dei suoi due piroscafi, il Piemonte e Lombardo, dal balcone di casa, senza batter ciglio: quale armatore, d’altronde, non regalerebbe due delle più grandi navi della sua flotta per la gloria della Patria? Poco importa se è stato accertato dai soliti storici guastafeste, più avvezzi a consultare archivi e biblioteche anzichè studi televisivi, che quel “furto” era in realtà un’acquisizione al patrimonio del Regno sabaudo, con tanto di garanzia di Vittorio Emanuele II in persona.

Garibaldi, il fuochista

Ma siamo appena all’inizio di una lunga serie di cazzullate: pensate che i garibaldini riescono a salpare solo perché Garibaldi, improvvisatosi fuochista, mette in funzione personalmente le caldaie! Peccato che, secondo gli storici guastafeste di cui sopra, l’eroe dei due mondi avrebbe raggiunto i compagni salpati da Quarto soltanto due giorni dopo a Talamone.

Nel porto toscano i “mille” fanno sosta per approfittare della generosità di altri disinteressati benefattori della Patria: i guardiani del deposito di armi. Quindi, armati fino ai denti, riprendono il largo alla volta di Marsala, e per non far capire ai Borboni dove stavano sbarcando, cominciano a spettegolare, a bordo, su una destinazione fasulla: Sciacca.

I garibaldini, che mangiavano pane e volpe, avevano capito che c’era una spia a bordo, a cui dare l’informazione farlocca, fregando in tal modo l’”intelligence” di Francesco II. Ecco perché a Marsala non trovano la marina borbonica ad aspettarli! Ovviamente, l’ignota spia deve aver usato un satellitare di primissima generazione, visto che si trovava in navigazione ben al largo, con cui informare la marina borbonica e dirottarla verso Sciacca.

Gli amici inglesi

Giunti davanti al porto di Marsala i “Mille” raccolgono per mare un pescatore dalla pelle scura, dall’idioma incomprensibile ed impaurito: come tutti i selvaggi alla vista di gente  “civilizzata”. Costui, opportunamente addomesticato dagli uomini del nord, li guida verso il porto, incredibilmente presidiato non da navi borboniche, ma da vascelli inglesi, che si trovavano a passare da quelle parti. Motivo? Il vino liquoroso che si produce nella cittadina trapanese, ragionevolmente apprezzato dai sudditi di sua Maestà britannica, notoriamente di bocca buona.

Cazzullo spiega inoltre che il capitano della flottiglia è un amico di Garibaldi: pensate che coincidenza… Costui, come tutti gli amici, si mette subito a disposizione dell’eroe dei due mondi, frapponendosi ad una fregata borbonica che si intravede in arrivo all’orizzonte; “il caso vuole”, come precisa il presentatore di questo istruttivo programma televisivo, che a comandare la fregata sia un napoletano di origini… inglesi.

Che bello andare per mare, avrà pensato il Peppino nazionale, dove non fai altro che trovare amici, tutti della stessa nazionalità di quei benefattori che ti hanno comprato metà dell’isola in cui risiedi. D’altronde si sa: chi trova un amico, trova un tesoro. Ma anche tanta approssimazione, cazzullianamente “casuale”: il comandante anglo-napoletano, infatti, prima scambia i garibaldini per soldati inglesi, a causa delle camicie rosse tanto simili (?) alle divise britanniche. Poi abbozza alcune timide cannonate, tutte fuori bersaglio.

Quanti a Calatafimi?

Sbarcato a Marsala indisturbato, nel tripudio generale, Garibaldi marcia subito alla volta di Palermo, incontrando a Calatafimi un numero imprecisato di soldati borbonici, guidato dal generale Francesco Landi. I Mille, ovviamente, sono sempre mille, per definizione e senza il minimo dubbio: lo ha detto Cazzullo! Perchè, poi, farsi venire fastidiosi dubbi? Non sia mai che qualcuno tenti di capirci qualcosa, come quei temerari che, meno cazzullianamente affezionati alla retorica storico-televisiva, hanno persino insinuato che fossero un pò di più.

Ultimi arrivati tra gli eretici, Antonio Formicola e Claudio Romano, consulenti scientifici dell’Archivio Storico della Marina militare, nel loro libro “1860:la verità” affermano addirittura che Garibaldi e compagni fossero 45.000, e ben armati. Ci sono arrivati dopo aver consultato qualcosa come duecentomila pagine di documentazione studiata per decenni. Ma cosa volete che siano, di fronte alle granitiche certezze cazzulliane, sostenute dal “consulente storico” Pinto?

Un Purgatorio inespugnabile

In effetti il nostro non riferisce, per tutta la puntata, un solo numero sulle forze in campo, e, per quanto riguarda Calatafimi, si esibisce in una ricostruzione della collina in cui avviene la battaglia quanto meno fantasiosa: una sorta di Purgatorio dantesco, tutto a terrazze, che permetteva ai prodi garibaldini di sfuggire alle pallottole del nemico, che stava in cima al rilievo. La ricostruzione grafica utilizzata per farlo capire agli ignari spettatori sembra uno scarto della precedente puntata di “una giornata particolare”: quella sulla Divina Commedia, in cui Cazzullo, tra ignavi, bestemmiatori e lussuriosi, si sforzava di presentare Dante come un antesignano del femminismo per la quantità industriale di versi dedicati al gentil sesso. Una sorta di Boldrini al maschile del XIII secolo, anziché un inguaribile donnaiolo, come è sempre apparso il Sommo Poeta ai suoi maliziosi commazionali.

Ma, tornando a cose più terrene, la storia della cedola bancaria rifilata allo stolto generale Landi per corromperlo, di 14 ducati anziché 14.000, anche se rende un minimo di verosimiglianza alle gesta garibaldine di Calatafimi, è troppo ghiotta per non essere riferita in TV. Peraltro, fa fare una bella figura al più popolare dei Padri della Patria: quella del corruttore, e pure truffaldino.

Palermo, le tattiche demenziali

Ed eccoci arrivati a Palermo, la cui conquista viene coerentemente rappresentata secondo la più classica retorica risorgimentale, con qualche pittoresca precisazione alla Cazzullo. E’ interessante scoprire che i palermitani, indisciplinati come tutti i meridionali, rovinano al ponte Ammiraglio l’effetto sorpresa ai fini strateghi garibaldini, ed alle loro addestratissime truppe. Non fosse stato per quegli sciagurati, sembra trasparire dal racconto di Cazzullo, i garibaldini, sempre in 1000, avrebbero conquistato l’intera città senza sparare un colpo, nonostante fosse presidiata, si dice, da 21.000 soldati borbonici.

Meno male che questi palermitani, riottosi alle ferree regole dell’ordine sabaudo, si riscattano agli occhi della Storia facendosi massacrare dai vili borbonici, che bombardano la città senza esito sia dal Castello a Mare che dal Palazzo dei Normanni. Una scelta scriteriata che la cittadinanza non gradisce, insorgendo al fianco dei garibaldini. I 21.000 borbonici, impauriti, se ne vanno, rifugiandosi a Messina. Tattiche militari incomprensibili  di un altro discutibile generale, Ferdinando Lanza, che aveva sostituito il Landi, subito destituito dopo il flop di Calatafimi. Cazzullo non si sofferma ad analizzare questi “dettagli”, intento com’è a dare tutto il merito dell’impresa agli impavidi eroi in camicia rossa ed al loro condottiero.

E poi, si è fatto tardi, e la pubblicità incombe: del resto della storia è meglio non parlarne. Non sia mai che si scoprano altre inspiegabili circostanze, come avvenne, ad esempio, per lo sbarco in Calabria: il blocco navale richiesto da Francesco II non venne attuato a causa del rifiuto degli inglesi. Ancora loro!

Si passa direttamente all’incontro di Teano. Niente di più della storia ufficiale, con tanto di stretta di mano, consegna delle nuove conquiste da parte di Garibaldi e sacchetto di sementi in cambio, da parte di Vittorio Emanuele. In pochi secondi si risolve uno dei più grandi misteri della storia d’Italia: cosa si dissero i due.

Bronte: uno spiacevole equivoco!

Ma non è finita: merita un cenno una “pagina oscura”, come le chiama Cazzullo: l’eccidio di Bronte. Un malaugurato incidente, simile a tanti altri avvenuti in Sicilia, dovuto ad uno spiacevole equivoco in cui sono caduti i contadini brontesi, convinti che Garibaldi fosse arrivato in Sicilia per ristabilire un po’ di giustizia sociale e distribuire loro le terre dei padroni; d’altronde, oltre ad essere un fervente massone, come tutti i principali protagonisti di questa storia, costui non si professava forse socialista?

Purtroppo per loro, come ci spiega Cazzullo, l’impresa dei Mille era una “rivoluzione patriottica” non una “rivoluzione sociale”. Peccato per i distratti contadini brontesi che, non avertiti della differenza tra le due rivoluzioni, andarono incontro alla fucilazione a cui, comprensibilmente, li sottoposero i patrioti in camicia rossa. Siamo sicuri che se fosse stato presente, in quel lontano 1860, il giornalista piemontese avrebbe cercato di convincerli a non insistere con le loro pretese fuori luogo: lo vediamo già, sulle barricate, mentre cerca di fermare quei malcapitati, urlando loro: “Fermi tutti! Questa non è una rivoluzione sociale, è patriottica!!”.

Difficilmente, comunque, avrebbe avuto successo: quella gente, come il pescatore scuro di Marsala, si esprimeva in “siciliano stretto” e non comprendeva la lingua piemontese. E comunque, purtroppo, fra i Mille non c’era Cazzullo, ma Nino Bixio, molto meno incline a certe raffinate distinzioni.  E molto più attento agli interessi dei proprietari terrieri, in particolare quelli della Ducea di Bronte, discendenti dell’Ammiraglio della Marina di sua maestà britannica Orazio Nelson, l’eroe di Trafalgar.

Caspita, nel 1860 erano proprio dappertutto questi inglesi!