Le piste ciclabili preannunciate dal ministro Giovannini per collegare le Università alle stazioni ferroviarie sono cosa buona e giusta. Meno buone e giuste ci sembrano altre affermazioni, riguardanti opere che, con tutto il rispetto per le piste ciclabili, avrebbero ben altro impatto sulla condizione socio-economica del meridione, ormai asfittica.
Aspettiamo infatti con ansia che la Commissione nominata dalla De Micheli la scorsa estate, e che doveva concludere i suoi lavori a fine ottobre, termine poi prorogato al 31 dicembre 2020, consegni al Ministro la sua relazione, finalizzata ad individuare la soluzione migliore per attraversare lo stretto di Messina. Non ci soffermiamo più di tanto sul fatto che la soluzione migliore sia già stata individuata 30 anni fa nel ponte a campata unica, e che sulla base di questa scelta si sono persino assegnate, con un appalto internazionale, la progettazione definitiva (già conclusa ed approvata nel 2011), quella esecutiva e la realizzazione dell’opera. Siamo infatti in Italia, paese capace di mettere in discussione qualsiasi cosa, persino contratti da 8 miliardi di Euro, per motivi che sfuggono alla logica.
E che farebbe bene, in un momento di emergenza come questo, a riprendere immediatamente il processo esecutivo, già in fase avanzata, dal momento che si tratta di opere praticamente cantierabili in poche settimane. Invece no, aspettiamo ancora la commissione.
Ed il neoministro Giovannini che fa, accelera i tempi? Ma quando mai: dichiara da Bruno Vespa, quindi con tutti i crismi della Terza Camera, che chiederà alla Commissione un ulteriore approfondimento: verificare la possibilità di migliorare l’attraversamento “non stabile”, ovvero il traghettamento sullo Stretto.
Ora, chi ha traghettato almeno una volta in vita sua, magari in treno, sa che c’è ben poco da migliorare: anche stravolgendo tutte le invasature delle due sponde e costruendo nuove navi, le manovre vanno comunque eseguite, ed i guadagni in termini di tempo sarebbero esigui. Magari, si potrà migliorare la sicurezza, ma trovandosi sempre di fronte un sistema anacronistico, lento e scomodo. Anche se, come è stato seriamente ventilato, qualcuno vorrebbe traghettare anche i treni ad alta velocità, per farli rimanere fermi, tra traversata e tempi tecnici, giusto il tempo di percorrere 500 km.
E stiamo parlando solo dei passeggeri. Rimarrebbe la mortifera strozzatura per il traffico merci, specie se su ferro, che neanche una flotta di cento navi traghetto consentirebbe di portare a livelli tali da dare un senso all’intero sistema portuale siciliano.
Qualcuno dovrà pur spiegare al titolare, di quello che fu il Dicastero delle Infrastrutture e Trasporti, oggi della Mobilità sostenibile, al quale possiamo al massimo riconoscere l’attenuante del noviziato, che il sistema che vorrebbe migliorare è tutt’altro che sostenibile.
In termini di inquinamento delle navi traghetto , di traffico all’interno delle due città a cui fa capo, di tempo perso, di fluidità del trasporto e quindi, ancora, di inquinamento. Che, con il Ponte, sarebbe abbattuto per oltre 158.000 tonnellate di CO2 ogni anno.
Invece, ci tocca sentire, sempre dal neo Ministro, che il Ponte non potrebbe essere inserito nel Recovery Plan perché… Non sostenibile. La tesi è che l’Europa, che non finanzia da anni opere stradali, non finanzierebbe il Ponte su cui, oltre alla ferrovia, correrebbe anche un’autostrada. In barba ai dati di sui sopra che, invece, attribuiscono all’opera, con evidenza scientifica, un valore di abbattimento delle emissioni totali in atmosfera tutt’altro che trascurabile.
Ma c’è di più: a queste perle del Ministro si aggiunge, con pervicacia, l’affermazione che comunque l’opera non rientrerebbe nei parametri UE per il Recovery Plan, non essendo possibile metterla in esercizio entro il 2026.
Avendo letto l’elenco delle opere inserite nel Recovery Plan, ci verrebbe quasi da ridere, se non ci andasse di mezzo il destino di due regioni che vedono ridursi, anno dopo anno la popolazione residente, a causa di un’emigrazione non solo irrefrenabile, ma persino in accelerazione negli ultimi 20 anni.
E’ infatti evidente che dei 209 miliardi di spesa previsti, ben pochi condurranno ad opere fruibili entro il 2026. A parte il caso clamoroso della Roma-Pescara, priva persino di un progetti di fattibilità, ci vengono in mente altre situazioni, a noi più vicine. Se si pensa, infatti, che il raddoppio ferroviario assegnato pochi giorni fa tra Catania e Messina prevede 115 mesi (9 anni e mezzo) anni di lavori, oltre la progettazione esecutiva ancora da redigere, si capisce bene che parliamo di termini più che utopistici. In teoria, se venisse dato il via libera all’appalto già assegnato ad Eurolink, il Ponte potrebbe essere operativo ben prima dell’apertura all’esercizio della linea ferroviaria. Forse persino prima del 2026, dal momento che i tempi di esecuzione, stimati in 6 anni nel progetto del 2011, possono tranquillamente ridursi a 5 anni, alla luce delle tecnologie oggi disponibili
Insomma, sembra proprio che si faccia di tutto perché quest’opera non veda la luce. Ricapitolando: attendiamo da almeno 6 mesi di conoscere il parere di una Commissione di 16 esperti che dovrebbe decidere quanto già emerso, dopo decenni di studi, 30 anni or sono. E mentre siamo ancora in attesa, il Ministro, come si suol dire, butta la palla in tribuna, appioppando alla Commissione un compito del tutto estraneo all’incarico affidatole, e di tutt’altra natura tecnica.
Dall’altra parte, fuga ogni dubbio sulla possibilità di inserire un’opera nel Recovery Plan il Ponte, perché non rientra nei termini prefissati e perché ha il brutto difetto di contenere un’autostrada al suo interno. Che inquina…Meno, molto meno dei traghetti, ma inquina!
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