Per le limitazioni ai convogli in gestione operativa, problemi e rincari dal cerealicolo al siderurgico.

La possibilità di effettuare treni merci superiori alle 1.600 tonnellate – la norma per comparti come quelli cerealicolo, siderurgico, chimico e altri ancora – rischia di essere a breve fortemente limitata. La novità doveva entrare in vigore col cambio orario dei giorni scorsi, ma Rete Ferroviaria Italiana ha disposto una proroga bimestrale, anche se difficilmente le problematiche che stanno a monte di tale decisione potranno essere risolte in due mesi.

Il gestore, infatti, ha stabilito di non accettare più le richieste per convogli di questo peso effettuate in “gestione operativa”, vale a dire treni non previsti dalla programmazione annuale negoziata dalle imprese ferroviarie con Rfi (e dalle diverse ‘finestre’ di riprogrammazione), ma organizzati, a partire dall’acquisto della traccia, poco prima dell’effettuazione. Una modalità molto in uso nei settori siderurgico e cerealicolo, ancor più dopo che la guerra ucraina ha squassato la logistica di particolari merceologie, cereali in primis, come vedremo.

Secondo gli operatori di settore tale orientamento ha due ragioni.

La prima è che un treno pesante è più lento e richiede quindi un maggior ‘cadenzamento’, occupa cioè una traccia per più tempo. La ‘gestione operativa’ di tali convogli risulterebbe incompatibile con la programmazione di Rfi, già messa a dura prova dai numerosi cantieri in corso. La seconda è che i convogli sopra le 1.600 tonnellate ‘pesano’ maggiormente anche sulle sottostazioni elettriche che, da quando nel 2017 fu introdotta la deroga per questi pesi onde conformarsi agli standard europei, non sarebbero state potenziate adeguatamente e sarebbero divenute insufficienti per il traffico odierno.

Come accennato fra i settori più in allarme c’è quello dei molitori. La confindustriale Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d’Italia, ha infatti preso carta e penna pochi giorni fa e, mettendo in copia Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quello dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e quello delle imprese e del made in Italy, ha invitato Rfi “ad un’attenta valutazione della situazione e delle conseguenze economiche e sociali che potrebbero derivare dall’attuazione di misure atte a determinare delle limitazioni all’import di materie prime agricole che non possono, in alcun modo, essere sostituite da una produzione nazionale largamente e strutturalmente deficitaria sotto il profilo quantitativo”.

Secondo Italmopa, infatti, il limite imposto alla gestione operativa “comprometterebbe le importazioni di frumento, con particolare riferimento al frumento tenero, indispensabili per garantire il fabbisogno quanti-qualitativo e la continuità operativa dell’Industria molitoria italiana”.

Il rischio di impatti pesanti è confermato dall’amministratore delegato di un’impresa ferroviaria, che, anonimamente, spiega come “fra un treno di grano da 2.500 tonnellate e uno da 1.600 il prezzo a tonnellata potrebbe crescere anche del 50%”. Rischio ben chiaro a Italmopa: “Una interruzione, ma anche un mero rallentamento, degli approvvigionamenti in materia prima estera, avrebbe effetti devastanti sull’attività degli impianti di trasformazione e, di conseguenza, sulla loro capacità di approvvigionare i comparti a valle, con evidenti rischi per quanto riguarda l’effettiva disponibilità e i costi di prodotti alimentari primari e di largo consumo”.

fonte:www.shippingitaly.it