Dopo il tragico evento del 16 maggio scorso sulla circonvallazione di Palermo, ci siamo interrogati sulle possibili cause di ammaloramenti così pericolosi nelle pavimentazioni stradali

Qualche giorno fa la cronaca ci ha raccontato della buca della Circonvallazione di Palermo, che, aprendosi nei pressi della borgata di Bonagia ha causato la morte di un motociclista. Si tratta di qualcosa che non può e non deve avvenire in una città normale, ma neanche in qualsiasi altra parte al mondo, in qualsiasi metro della rete stradale ed autostradale destinata ad essere percorsa in sicurezza.

Dopo un evento così tragico, ed in assenza di elementi validi, non è opportuno azzardare conclusioni, in questa sede, sulle cause di quanto è successo, pur essendo chiaro che esso doveva essere previsto per tempo, con gli opportuni interventi.

Tuttavia, anche soltanto le immagini che abbiamo visto, ci mettono in condizione di fare alcune semplici considerazioni su questo tipo di ammaloramento, evidenziandone la particolarità.

Non è una buca da “distacco”

E’ facile rilevare che, nel caso della Circonvallazione, non si tratta della tipica buca da distacco del manto di usura: questo tipo di ammaloramento, molto diffuso in genere sulle strade, si verifica all’interno di superfici stradali relativamente ampie, caratterizzati dalla classica “fessurazione a rete”. Chiunque percorre le strade conosce questo fenomeno, che dà ampi margini di intervento: dalla manifestazione delle fessurazioni al distacco del manto di usura con al formazione della buca, i tempi sono relativamente lunghi.

La buca che abbiamo visto sui media non presenta, al suo contorno, la rete di fessurazioni ben visibile nel caso di cui sopra. Ma, soprattutto, a differenza delle buche da distacco, si presenta molto profonda: il manto stradale appare sprofondato di almeno 30 cm. Una buca, quindi, provocata dal “crollo” della parte superficiale della pavimentazione, presumibilmente quella che contiene gli strati “neri” ovvero quelli realizzati in conglomerato bituminoso.

Pavimentazioni stradali, come sono fatte?

Piccola precisazione: il materiale utilizzato per le pavimentazioni stradali, viene comunemente ed erroneamente denominato “asfalto”. Quest’ultimo, in realtà, è un materiale di provenienza del tutto naturale, che può essere estratto in apposite cave: ve ne sono tante, ad esempio, nel ragusano. Per le pavimentazioni stradali viene invece prodotto in appositi stabilimenti il “conglomerato bituminoso” che è un mix di inerti (pietrisco, sabbia, filler) e bitume, miscelati secondo percentuali prestabilite in fase di progettazione e diverse a seconda dello strato di pavimentazione interessato. Il bitume è la parte più densa e non infiammabile del petrolio, estratto da quest’ultimo in fase di raffinazione come prodotto di scarto. Ve ne sono di diversissimi tipi, per consistenza, elasticità, lavorabilità, spesso ottenuti mediante determinati additivi chimici. In genere, un conglomerato bituminoso non contiene più del 5% in peso di bitume.

Ma torniamo alla nostra pavimentazione, considerando che, in genere, soprattutto nelle strade di grande viabilità, gli strati “neri” sono almeno tre strati: il manto di usura (quello più superficiale, in genere di spessore pari a 3-4 cm), quello “di collegamento” o binder, che può avere spessore variabile, più frequentemente dai 5 ai 10 cm., e quello di base, che può superare i 15 cm di spessore.

I tre strati neri poggiano a loro volta nella fondazione ovvero quella parte di pavimentazione formata da inerti non legati, ovvero non additivati di bitume. La fondazione può raggiungere spessori notevoli, fino al metro, e, come gli strati “neri” viene opportunamente rullato in fase di costruzione per raggiungere la costipazione più adatta. Al di sotto di essa vi è soltanto il “sottofondo” ovvero il terreno di posa del tutto, che può anche essere il risultato di uno sbancamento, ma anche la parte superiore di un rilevato. A seconda della qualità del terreno, può essere opportunamente trattato per non cedere sotto il peso degli strati superiori e del traffico destinato a passarci sopra.

Ciò detto, con riferimento a viale regione Siciliana, il crollo degli strati neri appare evidente. Ma come può accadere, in presenza di fondazione e sottofondo opportunamente compattati? Soltanto se il crollo abbia coinvolto anche questi ultimi, a causa della presenza di un vuoto, un’intercapedine al di sotto di essi.

BUCA VIALE REGIONE SICILIANA
fonte: blogsicilia.it

Quali le possibili cause del crollo degli “strati neri”?

Qui nasce il vero enigma da risolvere per la buca assassina: capire quali sono le cause del vuoto al di sotto dell’”asfalto”. Lo capiranno i periti, che certamente entreranno presto in campo in questa triste vicenda. Tenendo conto, probabilmente, che questo evento, a differenza delle buche per distacco, non è molto frequente. Anzi, fortunatamente, è piuttosto raro.

Nessuno, infatti, scava di proposito sotto le pavimentazioni. Al massimo le distrugge, mette un tubo, o un cavidotto, e le ripristina. Se lo ha fatto male, o non ha compattato il “sottofondo”, è possibile che questo ceda, ma difficilmente si verificano abbassamenti di 30-40 cm. Anzi, non è possibile che si formi l’intercapedine di cui sopra.

Senza diretti riferimenti al caso in esame, possiamo considerare che in genere, in questi casi, le possibilità sono due. Il primo è quello di uno “sfornellamento”: si tratta del fenomeno di formazione di un vuoto in superficie a causa del crollo di un manufatto sotterraneo: la volta di una galleria o di un tubo, in un determinato punto. Ciò va molto bene per questi fenomeni puntuali, localizzati in un’area ristretta. Nel caso in esame, tuttavia, sembra che la profondità del foro non sia superiore a poche decine di centimetri, tanto che si vede la stessa placca di pavimentazione giacere in fondo alla buca.

L’altra possibilità è che a scavare il vuoto, al di sotto degli strati neri, sia stata l’acqua: un’infiltrazione di un certo flusso idrico che, non potendo intaccare il conglomerato bituminoso, impermeabile, ha eroso per un certo spessore il sottofondo o la fondazione non legata, o entrambi. Creato il vuoto, il crollo può avvenire in qualsiasi momento, anche molto dopo l’esaurimento dell’infiltrazione, magari a causa di un forte carico sulla pavimentazione o in seguito alla sua applicazione: pensiamo ad un mezzo pesante transitato da poco.

Per questo non ci sentiamo di escludere questa causa anche se, apparentemente, non ci sono né corsi d’acqua né era piovuto da poco. Infatti la causa di questi fenomeni dipende, normalmente, non tanto da infiltrazione di acque superficiali, ma alla presenza di acqua proveniente dal sottosuolo. Raramente si tratta di infiltrazioni naturali, ciò che succede qualora si fossero improvvidamente sotterrate, sotto la strada, piccole sorgenti: qualcosa che, in questo caso, possiamo escludere, dato che il problema si manifesta non molto dopo l’esecuzione delle opere; si consideri che il tratto di circonvallazione palermitana in questione è stato costruito negli anni ’80 del secolo scorso.

Più spesso, invece, questi eventi sono dovuti a perdite in qualche condotta idraulica sottostante. Esse si verificano in un punto isolato, di solito, e producono un flusso idraulico a pressione che disgrega il terreno di sottofondo, anche se ben compattato. Può succedere che, successivamente, l’acqua venga mano, magari per una riduzione di pressione nella condotta, o persino che la condotta, per qualche motivo, vada in depressione e “aspiri” letteralmente il terreno al suo interno.

Il delicato tema delle manutenzioni

Quanto sopra, lo ripetiamo, vale solo come dissertazione sulle cause di fenomeni di dissesto delle pavimentazioni, non certo come valutazione di quanto avvenuto pochi giorni fa nei pressi di Bonagia. Quella, la lasciamo ai periti.

Rimane, in tutto questo, la consapevolezza di quanto possa essere delicato il tema da sempre sottovalutato, non solo Palermo ma un pò ovunque in Italia: quello delle manutenzioni. La nostra piccola dissertazione tecnica, che per non annoiare chi ci legge si è limitata soltanto ad alcuni aspetti del problema, serve soltanto a dare un’idea di quanto possa essere complicato anche semplicemente prevedere un ammaloramento di una semplice pavimentazione stradale. E di come risulti necessario ed urgente cominciare a prendere sul serio questa problematica.

Figuriamoci quanto possa essere capace di prevenire casi del genere chi non riesce, per motivi organizzativi e di carenza di risorse, neanche a tappare buche poco profonde e presenti da tempo sul manto stradale, come capita spessissimo. Non comprendendo che la sicurezza di chi percorre le strade, ovvero tutti i cittadini, non passa da semplici stese di “asfalto” una tantum, quando proprio non se ne può fare a meno, ma necessita di un monitoraggio continuo, sistematico, programmato. Un controllo che, come abbiamo visto, non può fermarsi (letteralmente) alla superficie e che deve assumere i contorni di un vero e proprio piano manutentivo. Qualcosa che manca nella nostra cultura politica e, riconosciamolo, anche in quella tecnica, e non riguarda soltanto le strade.

Naturalmente, esistono tutti gli strumenti tecnici, ormai di facile reperimento sul mercato a prezzi abbordabili, per rilevare non soltanto le condizioni superficiali, ma anche quelle del sottofondo, individuando anche i vuoti sotterranei. Semplici dispositivi che consentirebbero, a chi gestisce le strade di intervenire per tempo, evitando tragedie come quelle del 16 maggio scorso. Bisogna però essere capaci di uscire dalla logica dell’emergenza e dell’intervento a posteriori, riparando con comodo a danno fatto. Anche perchè, purtroppo, il danno può essere irreparabile.