NELLO SPECIALE ON LINE “PONTE, CI SIAMO?” ABBIAMO SVILUPPATO CON GLI ESPERTI LE POSSIBILI EVOLUZIONI PER LA REALIZZAZIONE DEL PONTE SULLO STRETTO. VE LE PROPONIAMO NEL SEGUITO

 

Riavviare l’iter per la realizzazione del Ponte sullo Stretto appare, oggi, un imperativo assoluto per il governo Meloni e per il ministro alle Infrastrutture di fresca nomina, Matteo Salvini. Ma come farlo, nel concreto? Il problema è piuttosto complesso, e richiede una conoscenza dettagliata di norme amministrative e tecniche. Cercheremo di renderlo comprensibile nel seguito, sperando di non addentrarci troppo nel “burocratese”.

Per farlo, però, occorre tenere conto della situazione particolare, determinata dalla schizofrenia della politica italiana. La quale, pur di mantenere fede a scelte ideologiche di parte, ha dimenticato l’interesse collettivo, bloccando per diverse volte la realizzazione dell’opera fino ad arrivare allo “stop” definitivo del 2013, con la messa in liquidazione della Stretto di Messina spa.

La conseguenza più immediata è stata la “caducazione” del contratto siglato nel 2005 da Stretto di Messina spa con Eurolink, il raggruppamento di imprese aggiudicatarie dell’appalto come “Contraente Generale” del Ponte e di tutte le opere connesse (collegamenti ferroviari e stradali, centro direzionale ed espositivo, bonifiche e risanamento dei territori interessati) per oltre 8 miliardi di euro. Evento a cui è seguita l’azione legale, tuttora in corso, intentata da Eurolink contro  la Stretto di Messina Spa, il ministero delle Infrastrutture e la presidenza del Consiglio dei ministri. Eurolink fa oggi capo a Webuild, il colosso delle costruzioni che ha assorbito la capofila di quel raggruppamento, Impregilo.

A proposito della Stretto di Messina spa, creata nel lontano 1981 per seguire tutte le fasi di studio di fattibilità, progettazione, appalto ed esecuzione delle opere, la sua presenza appare pressochè imprescindibile per una celere ripresa dell’iter realizzativo dell’Opera, oltre che per il superamento del contenzioso in corso. Pertanto, la rimessa “in bonis” di Stretto di Messina spa, da concretizzare mediante un voto del Parlamento o un Decreto Legge del governo, appare come il primo provvedimento da prendere. Viceversa, sarebbe pressochè impossibile individuare un soggetto in grado di riprendere le fila del discorso “Ponte”, sia tecnicamente che amministrativamente.

Il passaggio successivo, partendo dal progetto definitivo già pronto ed approvato dalla stessa Stretto di Messina spa nel 2011, può imboccare sostanzialmente due strade:

  • Accordo extragiudiziale con Eurolink, alias Webuild, per il ripristino del contratto già siglato nel 2005 poi “caducato” nel 2013.
  • Nuova gara di appalto per l’affidamento del ruolo di General Contractor, con procedura negoziata ad inviti, alla quale sarebbe invitata la stessa Webuild previa rinuncia all’azione legale in corso.

La prima ipotesi ristabilirebbe, di fatto, le condizioni precedenti all’avvento dalla “caducazione” del contratto, consentendo allo stesso soggetto che aveva realizzato il progetto definitivo di mettere mano alla progettazione esecutiva. Senza ulteriori passaggi burocratici, inoltre, si avvierebbe l’esecuzione delle opere.

La seconda ipotesi, che si pone perfettamente nel solco del Codice dei Contratti, presenta comunque la possibilità di non trovare l’assenso di Webuild, che, in teoria, potrebbe perdere il suo ruolo a favore di un soggetto che, invitato alla gara, offrirebbe condizioni migliori per la realizzazione del Ponte. Possibilità, invero, remota, viste le dimensioni e l’esperienza, maturata in tutto il globo, della mega impresa di Pietro Salini.

I dubbi riguardano, come ci ha confidato l’ing. Giovanni Mollica nella diretta on line “Ponte, ci siamo?”, la necessità di aggiornare il progetto definitivo prima di avviare la procedura negoziata. Per la copertura finanziaria non ci sarebbero problemi (grazie ai 50 milioni messi a disposizione dall’allora ministro per le Infrastrutture Giovannini) ma tale procedura suscita perplessità perché comporterebbe l’intervento di soggetti diversi da quelli che hanno redatto il progetto definitivo.

Particolare non da poco, dal momento che ci troviamo di fronte ad un elaborato di una complessità difficilmente immaginabile a chi non conosce esattamente l’iter progettuale. E che sembrerebbe, da “rumors” dell’ultima ora, la soluzione preferita negli ambienti ministeriali, dove si individua in RFI il soggetto a cui sarebbe affidato l’aggiornamento progettuale, per il quale è stato anche previsto un termine: agosto 2023. Oltre diciotto mesi, quindi, per un’operazione che i soggetti estensori del progetto del Ponte si sono dichiarati disponibili a concludere in soli sei mesi.

Ad aggiornamento avvenuto, secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni, si passerebbe all’applicazione del cosiddetto “modello Genova”, ovvero la procedura del tutto eccezionale che ha consentito la ricostruzione dell’ex viadotto Morandi sul Polcevera, nel capoluogo ligure, a tempi di record. Va rammentato che nel contesto genovese, si è operato in condizioni di massima urgenza, consentendo l’applicazione di un provvedimento che, di fatto, deroga a tutte le norme del codice dei Contratti Pubblici, affidando ogni decisione alla discrezionalità di un Commissario.

Il prof. Enzo Siviero, anche lui ospite di “Ponte, ci siamo?”, al proposito, è stato più che chiaro, definendo il Modello Genova “completamente fuorilegge”, in quanto ha consentito di “gestire centinaia di milioni a trattativa privata senza dover rendere conto a nessuno, con il risultato di pagare tre volte quello che si doveva fare”. Nel dettaglio, il suo parere è che l’esperienza di Genova ha portato ad una concreta riduzione dei tempi a causa dell’enorme onda emozionale che ha caratterizzato la progettazione e l’esecuzione della nuova opera, ma difficilmente, in condizioni diverse, avrebbe avuto successo.

Nessuno, infatti, ha avuto nulla da ridire su una serie di affidamenti che, in un contesto ordinario, avrebbero suscitato più di una polemica e, probabilmente, l’intervento della magistratura. Il risultato è stato un notevole incremento dei costi e la rinuncia alla trasparenza nelle procedure di assegnazione dei lavori e delle forniture.

Pertanto, forse non è proprio il caso di utilizzare un approccio simile per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, piuttosto che applicare le norme ordinarie del Codice dei Contratti. Le quali, è bene ricordarlo, non hanno impedito di realizzare opere di notevole impegno nei tempi prestabiliti: si pensi all’intera rete TAV o, per restare in Sicilia, all’autostrada Catania-Siracusa, completata con 6 mesi di anticipo.

In conclusione, pensiamo che occorra fare chiarezza sulle procedure che dovranno portare alla riapertura dei cantieri sullo Stretto, perché, purtroppo, per almeno un decennio si è fatto di tutto per ingarbugliare le già problematiche procedure necessarie alla realizzazione di un’opera simile. Occorrerebbe, in particolare, evitare decisioni affrettate e “scorciatoie” procedimentali che, nel concreto, si dimostrerebbero controproducenti.

In palio c’è non soltanto un’opera fondamentale per lo sviluppo dell’intero Mezzogiorno, ma la residua credibilità della classe politica italiana.