IN UN LUNGO ARTICOLO PUBBLICATO NELL’ULTIMO NUMERO DI “GALILEO” L’ING. ROBERTO DI MARIA SPIEGA PERCHE’ CONVIENE RENDERE GRATUITO IL TRASPORTO PUBBLICO

IL BIGLIETTO DEI MEZZI PUBBLICI, A FRONTE DI ENTRATE IRRISORIE, RAPPRESENTA UN DETERRENTE ALL’UTILIZZO DEL MEZZO PUBBLICO A FAVORE DELL’AUTO PRIVATA.

Il trasporto pubblico è da sempre un essenziale servizio per i cittadini. Senza i mezzi pubblici il ricorso alla motorizzazione privata sarebbe di dimensioni tali da provocare l’intasamento di qualsiasi centro abitato ed il relativo inquinamento. Costringendo, peraltro, tutti i cittadini, anche chi non vorrebbe, a caricarsi di oneri non indifferenti per sostenere le spese dell’automobile, dando per scontato che non tutti possono raggiungere la destinazione voluta in bicicletta/monopattino o a piedi.

A differenza della pubblica illuminazione, però, questo servizio essenziale si paga. I prezzi possono essere bassi o alti, agevolati per determinate fasce di cittadini o no, ma ci sono. Sempre.

La proposta del trasporto pubblico gratuito viene presa spesso per una proposta folle, e infondata dal punto di vista economico. In realtà, bisognerebbe invertire la visuale, girando il cannocchiale col quale abbiamo visto sempre questa situazione e chiederci: perché pagarlo?

Probabilmente perché il trasporto pubblico, inizialmente, era gestito esclusivamente da privati, che prendevano in concessione le linee di trasporto e ne ricavavano, con la bigliettazione, le risorse per sostenerlo, nonché l’utile.

Ben presto, nella maggior parte dei Paesi del mondo ed in particolar modo in Europa, l’incremento dei costi di gestione di questi sistemi provocò i primi fallimenti di imprese private di trasporto, con il subentro di altri soggetti, successivamente falliti a loro volta. Ma il continuo insuccesso di imprese private portò ben presto la mano pubblica a vestirsi del ruolo di titolare, in via pressoché esclusiva, del servizio. Ciò avvenne per le ferrovie come per le reti di trasporto urbane, ormai ritenute indispensabili. Rimasero, e rimangono tuttora i gestori pubblici, ma a costo di un aggravio del prezzo del biglietto a carico del cittadino. Laddove lo Stato ha ridotto la tassazione e mantenuto alti gli stipendi, tali oneri hanno continuato a gravare su essi.

Nei paesi in cui la società è stata tradizionalmente più assistita dalla mano pubblica, quest’ultima è subentrata nella gestione dei sistemi di trasporto, accollandosene il costo, ma non del tutto: una parte di questo importo rimase a carico del passeggero.

Un residuo del passato, quindi, quasi a voler ricordare a tutti che la gestione del sistema rimane comunque onerosa. Ma l’onere, da una parte o dall’altra, è comunque a carico del cittadino. Si tratta quindi di individuare i benefici collaterali che deriverebbero dall’eliminazione del biglietto in termini di salute pubblica, risparmio dei tempi di spostamento, riduzione dello stress, ecc. E in quale misura tali benefici compensino il sacrificio economico sopportato dal gestore e dalla collettività.

La ridotta incidenza degli introiti tariffari sui bilanci aziendali rende più che legittima la domanda. Ma, ai nostri giorni, la risposta più valida deriva dai dati relativi all’inquinamento ed allo scadimento della qualità della vita a causa del traffico veicolare. Negli Stati Uniti, secondo i dati forniti dal governo, il 29% delle emissioni di gas a effetto serra è attribuibile ai trasporti, con automobili e camion che contribuiscono per il 59%.

Il consigliere comunale di Seattle KshamaSawant, non ha utilizzato mezzi termini:  “C’è una catastrofe climatica in corso proprio sotto ai nostri occhi”, ha dichiarato, proponendo un sistema di trasporto gratuito anche per la propria città. Nel contempo, ha proposto di coprirne i mancati introiti mediante  la tassazione delle grandi imprese inquinanti. Se si adottasse questo criterio in tutto il mondo, si attuerebbe, nei fatti e non più a parole, quella  rivoluzione verde che farebbe bene all’ambiente e salvaguarderebbe la nostra salute[1].

Per rimanere in Italia, il report annuale di Legambiente “Mal’aria”, ci riferisce che nel solo 2019 l’inquinamento atmosferico ha causato 60mila morti, ed il traffico veicolare ne è la principale  causa. Inoltre, 26 città italiane sono oltre la soglia massima di emergenza smog, causando un danno per costi sanitari oscillante tra i 47 e i 142 miliardi di euro all’anno; in esso sono compresi malattie, cure, visite, giorni di lavoro persi ed altre voci correlate.

Nel nostro Paese circolano 38 milioni di autovetture a fronte di meno di 100mila bus, ed il 65,3% di spostamenti si effettua in auto contro il 6,6 di bus e treni. Occorre pertanto porre in essere azioni forti e, per certi versi, rivoluzionarie rispetto alla condizione attuale, in cui  lo squilibrio tra trasporto privato e trasporto pubblico continua ad incrementarsi. Solo a Napoli, nel 2018, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente ogni  cittadino ha trascorso mediamente 186 ore – più di una settimana intera – bloccato nel traffico, respirando smog.

 

La preponderante quota a carico dell’Amministrazione

Pur essendo il TPL percentualmente molto ridotto, la quota dei costi a carico dello Stato italiano supera di gran lunga la media europea.

Il parametro di riferimento del settore, fissato dalD.Lgs 422/97 è individuato nel rapporto ricavi da traffico/costi operativi (al netto dei costi di infrastruttura). Tale Decreto ha stabilito che i contratti di servizio debbano definire concretamente la struttura tariffaria adottata e allo stesso tempo prevedere un progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, rapporto che, al netto dei costi di infrastruttura, deve essere pari almeno al 35% a partire dal 1° gennaio del 2000 (articolo 19 comma 5)[3].

La percentuale così fissata voleva, nell’intenzione del legislatore italiano, segnare una precisa ripartizione dei costi del trasporto: 35% a carico dell’utenza che effettivamente utilizza il trasporto pubblico locale e il 65% a carico dell’intera collettività.Non venne trascurata, invero,  un’incentivazione all’economicità del sistema intesa con un duplice aspetto:

  • minimizzazione dei costi, per implementare l’efficienza del sistema
  • capacità di incrementare il numero di passeggeri trasportati, per implementarne l’efficacia.

I risultati sono stati deludenti, avendo fatto registrare persino un peggioramento del rapporto ricavi da traffico costi operativi: si è passati dal 31,3% del 2002 al 30,5% del 2008

Figura 1: andamento del rapporto ricavi da traffico costi operativi nel periodo 2002/2008

TRASPORTO PUBBLICO GRATUITOFonte: http://www.hermesricerche.it/elements/ASSTRA_HERMES.pdf

Poco confortante anche il confronto con i principali paesi europei. Anche se non sono intervenuti sensibili cambiamenti in termini di politiche tariffarie, nel 2015 i ricavi da traffico in Italia erano fra i più bassi in Europa: proprio nella capitale coprivano il 26 per cento dei costi, rispetto al 65 per cento di Parigi, al 55 per cento di Londra e al 48 per cento di Berlino.

Differenze dovute da due cause di fondo:

  • l’elevata evasione tariffaria, endemica e particolarmente rilevantenel settore del trasporto su gomma,
  • basse tariffe, con poche fasce di prezzo.

Rispetto alle principali capitali europee, i biglietti di corsa singola –  quelli maggiormente usati da non residenti (figura 2)[4] – incidono in modo negativo sul bilancio complessivo.

Figura 2: rapporto percentuale introiti tariffari/costi operativi per le principali città europee

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In realtà, le cose non cambiano sostanzialmente neanche se si esaminano i prezzi degli abbonamenti: quelli mensili per le aree urbane, in ambito europeo, variano dai 59 euro di Madrid ai 127 di Londra (dati EMTA Eurobarometro 2016). A Roma e Milano, invece, il prezzo è di soli 35 euro. Madrid fa registrare, insieme alle tariffe relativamente basse, un alto valore di ricavi da traffico per passeggero, pari a 1,2 euro (come Londra), rispetto agli 0,26 di Roma e gli 0,42 di Milano.

Il ricavo per passeggero a Roma è di gran lunga il più basso tra quelli delle principali città europee (Figura 2), mentre Milano si colloca in una posizione intorno alla media.

Il basso livello di efficienza produttiva incide negativamente sulla copertura dei costi unitari di produzione che,nelle maggiori aree urbane del Paese,sonomediamentesuperiori rispetto a quelli che si registrano in tanti altri Paesi. Significativo il caso del Regno Unito dove si è proceduto alla privatizzazione e alla liberalizzazione integrale del settore.
In quest’ultimo Paese, nel 2012 (non sono disponibili dati più recenti), i costi unitari di produzione erano del 16% a fronte di una quota italiana maggiore del 45%, sensibilmente superiore alla media dei maggiori Stati europei.

D’altronde, basta osservare il grafico in fig. 2 per comprendere quanto in Europa il rapporto tra i ricavi da traffico e i costi operativi sia sensibilmente più elevato rispetto a quello italiano[5].

Figura 3 Ricavi da traffico, in % sui costi operativi – anno  2014;

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Fonte:I sussidi nel trasporto pubblico locale – di Piergiorgio Carapella, Marco Ponti e Francesco Ramellasu https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-i-sussidi-nel-trasporto-pubblico-locale-992

Ciò significa che, nei fatti, la quota a carico dello Stato è ben superiore al 65%, superando, nella realtà, molto spesso la quota dell’85% (Molise). La situazione peggiora man mano che ci si sposta verso sud, dove gli introiti tariffari subiscono l’effetto di una maggiore evasione nel pagamento del biglietto, mentre i costi di gestione rimangono piuttosto elevati un po’ ovunque. La mano pubblica, in tal senso non ha giovato: le aziende sono infatti affette dai mali tipici delle municipalizzate, troppo spesso gravate da oneri ”aggiuntivi” dovuti a clientele e sprechi del tutto ingiustificati.

A fronte di ciò, le velocità medie commerciali dei sistemi di trasporto collettivo, soprattutto in superficie, continuano a registrare, nel Bel Paese, valori insoddisfacenti: anche se con punte interessanti, come i 28,4 km/h di Cuneo, si arriva ai 12 km/h di Siracusa; la media è di 19,2 km/h per bus e filobus. Va meglio per i sistemi tranviari e di metropolitana, esistenti, però, in poche città.

Una condizione dovuta alle clamorose inefficienze di moltissimi gestori pubblici di TPL, ma anche dalla presenza di flussi autoveicolari privati in superficie che finiscono col penalizzare proprio il mezzo pubblico. Dal punto di vista infrastrutturale, è peraltro arcinota l’allergia italica ai sistemi di metropolitana, del tutto svincolata dal traffico veicolare, ma anche ai sistemi tranviari o filoviari veloci in sede protetta.

Nonostante gli stanziamenti europei, il parco mezzi è spesso gravato da un’elevata obsolescenza, con quote quasi insignificanti di mezzi euro 6.

E’ quindi del tutto evidente che la riduzione della quota a carico dell’utente non abbia sortito effetti sostanziali, né in termini di efficienza, né in termini di efficacia. Il numero di utenti del mezzo pubblico, in genere, nelle grandi città, continua ad essere una percentuale minoritaria, mentre continua imperterrita la dittatura dell’auto privata, nonostante i continui interventi disincentivanti. Tra essi non soltanto le ZTL, ormai istituite in tutte le città italiane, ma anche i veri e propri divieti imposti dalle rilevazioni critiche sulla presenza di sostanze nocive nei centri urbani.

In una situazione del genere è lecito ipotizzare che la residua quota dell’introito tariffario sia poco utile in termini di potenziamento del servizio, quasi ininfluente in termini di bilancio e disincentivante riguardo all’utilizzo del mezzo. Qualcuno ci ha già pensato, ed ha trovato la risposta.

Continua- L’articolo è visionabile per intero sulla rivista del collegio Ingegneri di Padova “GALILEO” N. 255, Novembre-Dicembre 2021, alla pagina 34